Precisamente 100 anni fa nasceva Lorenzo Milani: l’uomo che ha saputo fare di una punizione la missione della vita. Del luogo sperduto in cui è stato mandato, il suo paradiso.
Noto a tutti come don Lorenzo Milani, sacerdote fiorentino vissuto tra il 1923 e il 1967. Semplice sacerdote diventerà un modello per tutti gli educatori credenti e no. “I care”, mi sta a cuore, mi interessa, è il motto del suo progetto educativo. Cerchiamo di capire cosa significa.
Una punizione e un luogo deserto possono diventare sorgente di speranza per gli scartati?
Nel deserto torna a fiorire la vita
Il luogo di cui stiamo parlando è Barbiana, nel comune di Vicchio, nel Mugello, dove don Lorenzo arriva il 7 dicembre 1954. Non si può neanche chiamare un villaggio. Le poche case sono sperdute tra boschi e campi, un’unica povera chiesetta, gli abitanti? Meno che un centinaio.
Don Milani è inviato a Barbiana per punizione, per il suo spirito ribelle e talvolta sopra le righe. Dobbiamo ricordare che nel 1923 fu emanata la Riforma Gentile che ha dato un’impostazione alla scuola selettiva e classista. Qui a Barbiana volle fondare una scuola, e proprio l’esperienza con i suoi giovani allievi farà maturare il suo pensiero educativo. Già al suo tempo c’era il fenomeno che oggi si chiama della dispersione. Ragazzi che abbandonano la scuola. Don Milani grida contro una scuola dell’obbligo che perde per strada 462.000 alunni l’anno. Già era stata emanata la nostra Costituzione. Essa all’art. 3 enuncia compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. E chi ha questo compito se non la scuola? Nel suo scritto più famoso, Lettera a una professoressa propone tre riforme, «perché il segno dell’eguaglianza non resti un sogno»: Non bocciare; A quelli che sembrano cretini dargli la scuola a pieno tempo, Agli svogliati basta dargli uno scopo.
Dilettanti in tutto, specialisti nel parlare
Il fine della scuola bisogna che sia onesto, grande, che non presupponga nel ragazzo null’altro che essere uomo. Cioè che vada bene per credenti e atei. Il fine giusto è dedicarsi al prossimo. In questo secolo come si vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola? Non è più il tempo delle elemosine, ma delle scelte. Contro i classisti, contro la fame, l’analfabetismo, il razzismo, le guerre coloniali. Ma questo è solo il fine ultimo da ricordare ogni tanto. Quello immediato da ricordare minuto per minuto è d’intendere gli altri e farsi intendere. E non basta l’italiano, che nel mondo non conta nulla. Gli uomini hanno bisogno d’amarsi anche al di là delle frontiere. Dunque bisogna studiare molte lingue e tutte vive. La lingua poi è formata dai vocaboli d’ogni materia. Per cui bisogna sfiorare tutte le materie un po’ alla meglio per arricchirsi la parola. Essere dilettanti in tutto e specialisti solo nell’arte del parlare. Perché è solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli.
L’esame vero è quello della vita. C’è riscontro nella esperienza nell’andare all’estero, dove si prova la cultura al vaglio della vita. La cultura vera è fatta di due cose: appartenere alla massa e possedere la parola. Una scuola che seleziona distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo d’espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose. La scuola selettiva è un peccato contro Dio e contro gli uomini. Si può ben descrivere la Scuola di Barbiana come una comunità reciprocamente educate, in cui l’esperienza educativa è vissuta e trasmessa come paradigma sociale. Interessante è la tecnica della scrittura collettiva nonché il suggerimento dato dal Milani sulla sapienza. Egli sostiene che amare il sapere può essere egoismo, pertanto suggerisce un ideale più alto: usare il sapere a servizio del prossimo, ma non si può far nulla per il prossimo in nessun campo, se non si impara a comunicare. Ha 100 anni Don Milani, ma è così giovane!!!