De-naturalizzare la miseria, de-burocratizzare la fame: lo ha chiesto Papa Francesco in visita oggi, prima volta per un Pontefice, al Programma alimentare mondiale (World Food Program), agenzia dell’Onu con sede a Roma, che si occupa di assistenza alimentare. Il Pam è la più grande organizzazione umanitaria del mondo, con obiettivo “Fame Zero” entro il 2030 ed oggi, per questo, ha ricevuto l’incoraggiamento di Francesco. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
Prega davanti al Muro della Memoria, il Papa, a testimonianza del “sacrificio” di chi, al servizio del Pam, ha offerto la “propria vita perché anche in mezzo a complesse vicende agli affamati non mancasse il pane”. Una memoria che si deve conservare, chiede Francesco, affinché si continui a “lottare, con lo stesso vigore, per il tanto desiderato obiettivo della ‘fame zero’”:
“Esos nombre grabados a la entrada de esta Casa…
Quei nomi incisi all’ingresso di questa Casa sono un segno eloquente del fatto che il Pam costituisce un valido strumento della comunità internazionale per intraprendere attività sempre più vigorose ed efficaci”.
Sentiamo il pianto ma non lo consoliamo
Il progresso delle tecnologie della comunicazione, nel mondo interconnesso e iper-comunicativo in cui viviamo, fa sembrare più brevi le distanze geografiche, consente di entrare in contatto “con quanto sta accadendo dall’altra parte del pianeta”, di avvicinarsi “a molte situazioni dolorose” e quindi di aiutare “a mobilitare gesti di compassione e di solidarietà”. Si crea però il paradosso, spiega Francesco, e “l’eccesso di informazione di cui disponiamo genera gradualmente la ‘naturalizzazione’ della miseria”. E poco a poco si diventa “immuni alle tragedie degli altri”, che si considerano come qualcosa di “naturale”:
“Son tantas las imagenes que nos invaden … “
Sono così tante le immagini che ci raggiungono che noi vediamo il dolore, ma non lo tocchiamo, sentiamo il pianto, ma non lo consoliamo, vediamo la sete ma non la saziamo. In questo modo, molte vite diventano parte di una notizia che in poco tempo sarà sostituita da un’altra. E, mentre cambiano le notizie, il dolore, la fame e la sete non cambiano, rimangono”.
Denaturalizzare la miseria
Questo contesto rivela il “ruolo fondamentale” che hanno istituzioni come il Pam, dice Francesco, non basta conoscere la situazione di molte persone, così come non è sufficiente, continua, “elaborare lunghe riflessioni o sprofondarci in interminabili discussioni su di esse”. La miseria, raccomanda il Papa, va ‘de-naturalizzata’, e non va considerata come “un dato della realtà tra i tanti”:
“Porque la miseria tiene rostro…
Perché la miseria ha un volto. Ha il volto di un bambino, ha il volto di una famiglia, ha il volto di giovani e anziani. Ha il volto della mancanza di opportunità e di lavoro di tante persone, ha il volto delle migrazioni forzate, delle case abbandonate o distrutte. Non possiamo ‘naturalizzare’ la fame di tante persone; non ci è lecito dire che la loro situazione è frutto di un destino cieco di fronte al quale non possiamo fare nulla”.
La fame non è questione di burocrazia
Quando la miseria smette di avere un volto, si inizia a parlare di “fame” , “alimentazione”, “violenza”, mettendo da parte “il soggetto concreto, reale, che oggi ancora bussa alle nostre porte”. Senza volti e senza storie, “le vite cominciano a diventare cifre” e il rischio è “di burocratizzare il dolore degli altri”. Ma le burocrazie “si occupano di pratiche”, invece è la compassione che “si mette in gioco per le persone”. Ecco quindi che occorre lavorare “per de-naturalizzare e de-burocratizzare la miseria e la fame dei nostri fratelli”.
L’intervento deve essere a vari livelli, spiega Francesco, con al centro l’obiettivo “la persona concreta che soffre e ha fame, ma che racchiude anche un’immensa ricchezza di energie e potenzialità che dobbiamo aiutare ad esprimersi concretamente”. E qui l’appello: bisogna “de-naturalizzare la miseria”:
“La falta de alimentos no es algo natural…
La mancanza di alimenti non è qualcosa di naturale, non è un dato né ovvio né evidente. Che oggi, in pieno secolo ventunesimo, molte persone patiscano questo flagello, è dovuto ad una egoista e cattiva distribuzione delle risorse, a una “mercantilizzazione” degli alimenti”.
Abituati allo spreco
Dei frutti della terra si è fatto un “privilegio di pochi”, denuncia Francesco, di questo dono per l’umanità se ne fatto “commodities” di alcuni, il che ha generato esclusione:
“El consumismo – en el que nuestras sociedades se ven insertas…
Il consumismo – che pervade le nostre società – ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo, al quale a volte ormai non siamo più capaci di dare il giusto valore, che va oltre i meri parametri economici”.
La fame usata come arma
Occorre ricordare che “il cibo che si spreca è come se lo si rubasse dalla mensa del povero”, occorre riflettere sullo spreco di alimenti, si deve “de-burocratizzare la fame”, è la strada indicata da Francesco, in un tempo in cui guerre e minacce di conflitti predominano “nei nostri interessi e dibattiti”, e le armi sembra abbiano “acquistato una preponderanza inusitata”. Questo impedisce la distribuzione degli alimenti nelle zone di guerra, “arrivando anche alla violazione dei principi e delle direttive più basilari del diritto internazionale”. Ed ecco l’altro paradosso: intricate e incomprensibili decisioni politiche ostacolano gli aiuti e i piani di sviluppo, ma non la circolazione delle armi, il che “nutre le guerre e non le persone”:
“En algunos casos la misma hambre se utiliza come arma de guerra…
In alcuni casi, la fame stessa viene usata come arma di guerra. E le vittime si moltiplicano, perché il numero delle persone che muoiono di fame e sfinimento si aggiunge a quello dei combattenti che muoiono sul campo di battaglia e a quello dei molti civili caduti negli scontri e negli attentati”.
Non anestetizzare le coscienze
Pur essendone coscienti, dice il Papa, si lascia che le coscienze si anestetizzino tanto da divenire insensibili. “Non si può di fronte a tante tragedie! E’ l’anestesia più grave”:
“Las poblaciones màs débiles no sòlo sufren los conflictos…
Le popolazioni più deboli non solo soffrono per i conflitti bellici ma, nello stesso tempo, vedono ostacolato ogni tipo di aiuto. Perciò urge de-burocratizzare tutto quanto impedisce che i piani di aiuti umanitari realizzino i loro obiettivi”
Cooperazione tra gli Stati
Il Pam riveste quindi in questo quadro un ruolo fondamentale prosegue il Papa, perché si ha bisogno “di veri eroi capaci di aprire strade, gettare ponti, snellire procedure che pongano l’accento sul volto di chi soffre”, ed è verso tali obiettivi che deve orientarsi la comunità internazionale:
“No es cuestiòn de armonizar intereses que siguen encadenados…
Non si tratta di armonizzare interessi che rimangono ancorati a visioni nazionali centripete o a egoismi inconfessabili. Si tratta piuttosto che gli Stati membri incrementino in modo decisivo la loro reale volontà di cooperare per questi fini”.
Risorse distribuite equamente
L’appello è affinché gli Stati membri collaborino con il Pam, perché possa continuare a rispondere alle necessità dei popoli, realizzando “progetti solidi e consistenti” e promuovendo “programmi di sviluppo a lungo termine”. Il lavoro del Programma alimentare mondiale, conclude Francesco, dimostra che si possono “coordinare conoscenze scientifiche, decisioni tecniche e azioni pratiche con gli sforzi destinati a raccogliere risorse e a distribuirle equamente” e che si può lavorare “per sradicare la fame attraverso una migliore assegnazione delle risorse umane e materiali, rafforzando la comunità locale”. L’incoraggiamento di Francesco è quindi quello ad andare avanti, nonostante fatica e difficoltà, con al fianco la Chiesa Cattolica che assicura tutto il sostegno e appoggio affinché “diventi realtà questa urgente priorità della “fame zero”.
La civiltà si misura sulla solidarietà
“Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere”. E’ questa una delle massime del cristianesimo, conclude il Papa, che, al di là delle confessioini religiose, può valere per i popoli , perché “un popolo gioca il proprio futuro nella capacità di farsi carico della fame e della sete dei suoi fratelli, così come anche l’umanità. “In questa capacità di soccorrere l’affamato e l’assetato possiamo misurare il polso della nostra umanità”.
fonte: radiovaticana