Sacerdote missionario, san Damiano de Veuster, ha dedicato la sua vita all’amorevole assistenza ai lebbrosi, morendo poi anche lui di quella malattia.

Si svolse nella lontana Oceania la missione di san Damiano de Veuster, sacerdote della Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, che si commemora oggi 15 aprile. Andò a prendersi cura dei più emarginati, i lebbrosi, e morì anche lui di lebbra.
San Damiano de Veuster nacque in Belgio a Tremelo il 3 gennaio 1840 con il nome di Giuseppe. Era il settimo di 8 figli di una famiglia di contadini. I genitori erano ferventi cattolici e lo educarono alla fede. Due suoi fratelli diventarono sacerdoti e due sorelle presero i voti.
Anche lui si fa prete ed entra nella Congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria prendendo il nome di Damiano.
Santo di oggi 15 aprile: San Damiano de Veuster
Nel 1863, quando era ancora al secondo anno della scuola di Teologia inizia la sua missione partendo al posto di suo fratello che era malato. Nel 1884 riceve l’ordinazione presbiteriale e si trova ad Honululu. Si sposterà poi alle Isole Hawai.
Lì conduce una vita fatta di lavoro manuale, come coltivare la terra e occuparsi dell’allevamento dei montoni e soprattutto evangelizzare la popolazione locale. Deve affrontare il grande peso della solitudine perché la differenza culturale è enorme.
È il 1873 quando servono sacerdoti da inviare nell’Isola di Molokai che è diventata un lazzaretto dove vengono mandati i lebbrosi. Il governo del luogo li confinava in quel posto per evitare epidemie.
Il vescovo cerca sacerdoti a cui affidare questa missione con turni di 34 settimane di soggiorno, e san Damiano si offre per intraprenderla.
In missione tra i più emarginati
Ciò che lo aspetta è quanto di più duro. Le condizioni sono estremamente difficili e c’è perfino da sopportare un intenso odore maleodorante che viene dalla carne in putrefazione dei malati.
L’odore è così terribile che produce, anche a lui, svenimenti e malori. Nonostante tutte le difficoltà, però, rimane lì e ci resterà oltre al tempo stabilito, per tutta la sua vita.
Tra le attività che svolge le principali sono di accudimento dei malati: li cura, gli medica le piaghe, si dedica a ridare la dignità umana che era stata tolta a quelle persone sia dalla malattia che dalla paura degli altri.
Intraprende anche lavori di costruzione in quel posto. Fa costuire abitazioni e una chiesa che dedica a santa Filomena. Fa sorgere anche scuole per i bambini e un ospedale per far fronta alle esigenze dei malati in modo più compiuto.
Una scelta d’amore
La sua è una scelta d’amore. Dichiara di voler “vivere e morire con loro“, consapevole che il contagio è altamente probabile. Vuole servire e amare gli ultimi del mondo, coloro che per la società sono solo degli scarti.
Soffre con loro e sente di dover rimanere. Fornisce per questo anche una spiegazione e dice: “Amo molto questi poveri indigeni per la loro semplicità e faccio per loro tutto ciò che posso. Essi mi amano come fanno i bambini con i propri genitori, e attraverso questo reciproco affetto spero di poterli condurre a Dio. Se amano il prete, infatti, ameranno più facilmente Cristo nostro Signore”.
Nel 1884 la malattia colpisce anche lui. Nella sua ultima omelia si dichiara tra i malati con l’espressione “noi altri lebbrosi”. La lebbra lo prostrerà per 5 anni fino a quando morirà il 15 aprile 1889. Non aveva compiuto ancora 50 anni.
Prima fu sepolto sotto un albero. Poi, molti anni dopo, nel 1936 le sue spoglie vengono spostate e trasferite a Lovanio, in Belgio. La beatificazione è avvenuta nel 1995 e poi la canonizzazione nel 2009.