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Miracoli e Testimonianze

15 Sabati del Rosario: antica pratica per grazie immediate – 9° sabato

La  diffusione dei 15 Sabati è strettamente legata al Santuario di Pompei e alle sue tradizioni mariane. 

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Nasce come recita, infatti, per 15 sabati consecutivi, dei quindici Misteri del Rosario. Oggi sono diventati 20, con l’introduzione dei Misteri della Luce.

Prima di iniziare la preghiera dei 15 Sabati, è bene confessarsi e proporsi, quel sabato, di prendere la Comunione. Questa devozione ci chiede principalmente di meditare su uno solo dei Misteri del Rosario (uno per ogni sabato) e di approfondirlo col brano evangelico corrispondente, con preghiere, riflessioni, proponimenti e opere proposte per quel giorno (secondo le disposizioni del Santuario di Pompei), nonché con la recita del Rosario per intero (ossia tutti e 20 i Misteri) o di parte di esso.

Questa devozione fu formulata dal Beato Bartolo Longo e si può iniziare in qualunque sabato dell’anno, anche se, al Santuario di Pompei, la si fa prima dell’8 Maggio e della prima domenica di Ottobre. Di seguito, proponiamo la testimonianza di una guarigione, avvenuta per la pratica dei 15 Sabati e riportata dalla rivista “Il Rosario e la Nuova Pompei”.

15 Sabati del Rosario: la guarigione di un piccola orfana

Il 24 Marzo del 1889 era la vigilia della festa dell’Annunziata, che, dai fedeli di Lecce, era attesa anche come la giornata in cui recitare il primo Mistero del Rosario, relativo alla preghiera dei 15 sabati del mese, secondo la devozione del Santuario di Pompei.

Nell’Istituto di carità delle Piccole Suore Salesiane della città, si accoglievano le bambine sordomute; era appena arrivata Maria Petruni di 8 anni.
Maria, a soli 2 anni, aveva avuto una brutta caduta che le aveva lasciato un ginocchio dolorante. L’arto era rimasto debole e sembrava non volesse più guarire: “Entrata difatti nella Pia Casa di Lecce, non tardò a gonfiarsi e a impedirle di camminare. Un giorno i medici dichiararono che al ginocchio destro della infelice fanciulla si era dimostrata una delle più terribili manifestazioni della scrofola con quel malanno che chiamasi tumor bianco o gonartrocace”.

Tentarono di operarla, ma senza successo, tanto che i medici cominciarono a pensare che Maria avrebbe perso l’uso della gamba: “Intanto, lo stato generale dell’inferma peggiorava sempre: il dimagrimento cresceva; una lenta febbre, effetto dell’assorbimento, logorava quella misera esistenza; la tisi era inevitabile”.

La piccola Maria sembrava non avere scampo

Una tale situazione suggerì ai dottori l’amputazione dell’arto, che, tuttavia, poteva essere molto pericolosa, anche letale, vista la fragile costituzione fisica della piccola.
Una Suora, che le stava sempre accanto, le aveva consigliato di pregare tanto la Vergine del Rosario, perché la salvasse, e la bambina cominciò a farlo assiduamente.

“Il 22 di Marzo 1889 la straziata fanciulla, troppo stanca delle sofferenze, nel vedere le sue compagne uscire a passeggio, e lei sempre immobile, sola, in compagnia dei suoi mali insanabili, diede in un pianto dirotto. (…) Venne il giorno 24 Marzo del 1889 (…).

La povera bimba se ne stava seduta secondo il consueto con la gamba distesa, anchilosata, tenendo a sé vicine le grucce, unico appoggio della gracile persona. (…) Suor Caterina guardava con l’occhio pietoso la fanciulla mesta e, mossa da una fede soprannaturale che le veniva dalla Vergine, prende le grucce e le lancia in aria. Quindi, con linguaggio inteso tra loro, le dice: “Cammina, la Vergine di Pompei ti farà camminare!”.”.

Suor Caterina era colei che le aveva consigliato di chiedere la grazia alla Madonna.
La bambina, a quel comando che nulla aveva di umano, si sentì forte, fece un passo e poi l’altro e riuscì nuovamente a camminare, a correre, a salire su e giù per le scale, davanti alle altre bambine e alle Consorelle ancora incredule.
La testimonianza di questa guarigione miracolosa è corredata da una relazione medica del Dottor Oronzio Fiocca di Lecce, nonché dalla firma del Direttore, don Filippo Smaldone, della Superiora e di altre Religiose dell’Istituto in cui la bambina risiedeva.

Antonella Sanicanti

 

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