Venerdì 29 maggio 2020 sarà la data in cui il governo deciderà se consentire gli spostamenti tra le regioni oppure no.
Per ora, la libertà di movimento è consentita solo all’interno della regione, ma il decreto oggi in vigore prevede la riapertura in tutta Italia a partire dal 3 giugno. In base al report che verrà diffuso la prossima settimana si capirà se la riapertura sarà totale oppure no. La decisione spetterà al governo, mentre le singole regioni potranno imporre delle limitazioni.
Limitazioni che molto probabilmente potrebbero estendersi, per la maggiore, al divieto di ingresso delle persone provenienti dalle regioni con più alto numero di contagi. Per cui tra le regioni che presentano un livello di rischio tra loro molto simile difficilmente ci saranno imitazioni. Questo criterio potrebbe segnare le giornate degli italiani anche per tutto il periodo estivo.
A proposito di questi valori il ministero della della Salute ha messo al monitoraggio ventuno punti, e ogni regione è obbligata a comunicare i propri dati per una valutazione complessiva dell’andamento del virus. Tra questi, il tasso di contagiosità, il numero dei tamponi effettuati, e altri relativi ai posti disponibili nel sistema sanitario e in particolare nelle terapie intensive.
Una volta considerate tutte queste variabili il governo assegnerà un livello di rischio ai singoli territori: basso, moderato o alto. Grazie a cui poi verranno presi i provvedimenti per mettere in sicurezza la popolazione. O per avanzare nella fase di ritorno alla normalità.
Il ministro degli Affari regionali Francesco Boccia ha infatti spiegato che è compito delle regioni quello di monitorare l’andamento della situazione nel proprio territorio, e in caso di problematicità comunicarlo in maniera tempestiva al governo. “Se dovessero esserci alcune regioni ad alto rischio, lo si saprà qualche giorno prima. Prima di aprire, se qualcuna dovesse essere a livello alto non apre”, ha spiegato Boccia.
I dati verranno esaminati ogni venerdì, e il 29 maggio ci sarà il test fondamentale per decidere le regole sulla mobilità interregionale. Che potrebbe riguardare anche singole città. La scorsa settimana, tutte le regioni presentavano un livello basso di pericolosità, ad eccezione di Lombardia, Molise e Umbria. Se per esempio i dati dovessero venire confermati, queste tre regioni sarebbero escluse dalla libertà di spostamento.
In ogni caso i provvedimenti verranno aggiornati di settimana in settimana, e cambieranno a seconda dei cambiamenti nei dati relativi al rischio di contagio. Il fatto che siano le regioni a monitorare in primis gli andamenti e a comunicare i dati a livello centrale permetterà quindi una maggiore vicinanza con la situazione nel territorio.
Se infatti nelle scorse ore hanno preoccupato i dati di risalita di Molise e Umbria, con episodi in singoli centri che però hanno fatto rialzare i numeri dell’epidemia, l’ultimo che ha fatto preoccupare è il dato di Milano. Il dato Rt capoluogo lombardo infatti nelle ultime ore è passato dallo 0,65 del 12 maggio allo 0,86 di giovedì 21.
Fa tuttavia discutere la scelta di escludere dai fondi stanziati nel Decreto rilancio un centinaio di comuni, sparsi in tutta Italia, dichiarati con ordinanze regionali zone rosse. “Tutte le zone rosse d’Italia devono essere ristorate dal fondo nel decreto rilancio su cui si è aperto un giallo”, protesta il senatore Davide Faraone, renziano, membro paradossalmente della maggioranza.
“I 200 milioni inizialmente destinati a tutte le zone rosse escludono un grandissimo numero di comuni, da Nord a Sud. La necessità immediata è quella di includere tutti i comuni che si sono dichiarati zona rossa”, aggiunge. Affermando tuttavia che “presenteremo un emendamento per correggere questa odiosa discriminazione, e riteniamo che il fondo vada aumentato”.
“Non abbiamo solo Vo, ma anche Treviso, Venezia e Padova. Sono tutte zone rosse istituite l’8 marzo che arrivavano in coda ai 10 comuni del Lodigiano”, rincara la dose il governatore del Veneto Luca Zaia. “Dopo 24 ore da quell’8 marzo tutta Italia diventa zona rossa ma nessuno ha revocato le nostre zone rosse. Tutte poi sono state revocate il 13 di aprile. Ma, magia… sono sparite tutte le zone rosse del Veneto e sono rimaste quelle di Lombardia ed Emilia Romagna”.
Chi si chiede che cosa sia successo e da cosa derivi questa scelta arbitraria sulle città a cui destinare i fondi e a chi no. “È imbarazzante vedere quello che sta accadendo: cioè le zone rosse del Veneto sono state escluse dagli aiuti previsti nel decreto, i 200 milioni di euro”, continua Zaia. Che annuncia: “Noi abbiamo dato l’incarico al professor Bertolissi per ricorrere al Tar e alla Corte Costituzionale perché il decreto va buttato nel cestino e riscritto. Andiamo davanti a chiunque perché questo decreto è offensivo per i veneti”.
“C’è stato prima un dibattito per la dimenticanza delle zone venete rosse, poi una prima stesura rispettosa delle nostre rimostranze che poi è diventata legge, una legge in maniera irrituale, e i giuristi dicono di non aver mai visto una cosa del genere, e che è finita in Gazzetta con un nuovo testo dove noi siamo scomparsi”, spiega ancora il governatore.
Stessa protesta che viene dal presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Secondo De Luca si tratta di una “incredibile decisione da parte del governo. E’ sconcertante che si sia solo immaginato di escludere le ex zone rosse (Vallo di Diano, area Ariano Irpino) dal Fondo dedicato alle aree colpite gravemente dell’emergenza Covid. Chiediamo che si corregga immediatamente questa disposizione da parte del governo”.
Giovanni Bernardi
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