Santa Elisabetta della Trinità, che si ricorda oggi 9 novembre, è stata una monaca carmelitana che nella sua breve vita toccata dalla malattia ha costantemente contemplato il mistero trinitario.
La vita di santa Elisabetta della Trinità, la cui memoria liturgica è oggi 9 novembre, ma nel calendario carmelitano è ricordata l’8, è stata una monaca delle Carmelitane scalze. Con il nome di Elizabeth Catez nasce il il 18 luglio del 1880 a Campo d’Avor vicino Bourges, in Francia.
All’età di 7 anni, dopo la morte del padre, con la madre e la sorella si trasferisce a Digione. Sente molto presto la chiamata alla consacrazione religiosa, ma deve attendere la maggiore età per poter avere il permesso della madre di entrare nel Carmelo.
Elisabetta è una ragazza molto intelligente, ma riceve una scarsa cultura. Approfondisce però l’arte della musica e suona il pianoforte. Il 2 agosto 1901 Elisabeth entrò quindi nel Carmelo di Digione dove l’8 dicembre 1901 vestì l’abito religioso, assumendo il nome di suor Elisabetta della Trinità.
Solo pochi mesi dopo aver fatto la professione religiosa iniziano a manifestarsi i primi sintomi di una grave malattia che la farà soffrire per tutto il resto della sua breve vita. Si trattava del morbo di Addison che colpisce le ghiandole surrenali.
All’epoca questa malattia non era molto conosciuta e non se ne capì subito la gravità. Elisabetta accetta di buon grado la sofferenza e manifesta un totale abbandono fiducioso alla volontà di Dio. È presente in lei una forte attrazione verso la contemplazione del mistero trinitario.
Anche nella malattia vuole perciò essere “lode di gloria della Trinità“. La sua accettazione della sofferenza è espressa chiaramente nelle sue parole : “Poiché mi è quasi impossibile impormi altre sofferenze, devo pure persuadermi che la sofferenza fisica e corporale non è che un mezzo, prezioso del resto, per arrivare alla mortificazione interiore e al pieno distacco da sé stessi. Aiutami Gesù, mia vita, mio amore, mio Sposo“.
Usa la sua malattia per offrisi vittima d’amore e l’invocazione che usa è “O mio Dio, Trinità che adoro“. La patologia ha un andamento altalenante e i primi anni si manifesta in modo più sopportabile. Poi nel 1906 arriva un peggioramento.
Elisabetta trascorre l’ultimo anno in preda a fortissimi dolori fisici e li affronta concentrandosi su ciò che davvero conta. Diceva infatti : “Tutto passa! Alla sera della vita resta solo l’amore. Bisogna fare tutto per amore“. Da sempre la lettura di Storia di un’anima di santa Teresa di Lisieux è per lei molto importante. Avverte una grande vicinanza con quest’altra grande santa carmelitana e la prende a modello.
“Riusciremo mai a capire quanto siamo amati?“si chiedeva spesso, contemplando quell’amore così grande che aveva conosciuto e che dava senso alla sua vita anche nel mezzo della sofferenza più atroce.
Muore il 9 novembre 1906 all’età di 26 anni. Le sue ultime parole sono: “Vado alla luce, all’amore, alla vita”. La sua beatificazione avviene nel 1984 e successivamente viene canonizzata nel 2016. Il miracolo che ha portato alla sua canonizzazione è la completa e inspiegabile guarigione di un’insegnante francese dalla sindrome di Goujerot-Sjögren, una malattia del sistema immunitario.
Ha lasciato un’autobiografia e degli scritti che hanno avuto una larga diffusione. Si tratta dei Diari, le Lettere, le Poesie, alcune Preghiere. Non è la qualità letteraria da ricercare in essi, ma la profondità spirituale e la santità che trasmette. La sua preghiera più celebre è l'”Elevazione alla Santissima Trinità“.
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