“Eravamo otto bambini. Nostro padre, nonostante la cattiva salute, la domenica scompariva: scoprimmo che incontrava la gente più povera e bisognosa di Lione. Mio padre e i suoi amici, uomini agiati, si improvvisavano parrucchieri e portavano vestiti ai poveri. Ho capito quali atti rendono cristiana la vita e ho scoperto il Vangelo”.
Così si raccontava Henri Antoine Grouès (1912-2007, Francia) e, sull’esempio cristiano del padre, quanto su quello di San Francesco d’Assisi, donò la sua parte di eredità e decise di entrare tra i Cappuccini.
Henri Antoine Grouès, diventerà sacerdote e sarà conosciuto in tutto il mondo come Abbé Pierre, che, nel 1949, ha fondato i Compagnons d’Emmaüs, per aiutare i poveri ed i rifugiati.
Nella seconda guerra mondiale, ebbe l’occasione di partecipare alla resistenza, contro l’avanzata nazista, aiutando ebrei, perseguitati politici, partigiani a passare il confine con la Svizzera. Venne arrestato più di una volta, per le sue iniziative politico-sociali.
Fu, infatti, anche un uomo di politica molto attivo, incontrò diversi personaggi in vista della sua epoca, ma poi si dedicò solo ai poveri.
Aveva conosciuto un certo Georges, un uomo che aveva ucciso il proprio padre e che voleva togliersi la vita. Abbé Pierre gli aveva detto: “La tua storia è sfortunata, ma non posso fare nulla per te, il mio stipendio di deputato è speso per soccorrere le famiglie che vivono negli scantinati. Ma prima di ucciderti, vieni ad aiutarmi”. L’uomo lo seguì davvero.
Il suo appello al mondo
Celebre il messaggio che Abbè Pierre, la mattina dell’11 Febbraio del 1954, lanciò da Radio Luxembourg, per risvegliare gli animi tiepidi dei francesi agiati: “Amici, aiuto! … Una donna è morta di freddo questa notte alle 3:00, sul marciapiede di corso Sebastopoli. In mano aveva il biglietto con cui era stata sfrattata l’altro ieri … Ogni notte ci sono più di duemila poveri sui nostri marciapiedi che soffrono il freddo, muoiono senza cibo, senza pane, senza tetto. Alcuni sono quasi nudi …”.
Molti risposero al suo appello, compresero cosa andava fatto per tanta povera gente che si riversava nelle strada; tante persone inviarono quanto potevano, affidandosi alla richiesta del sacerdote: “Avevo un locale, ho messo l’insegna Emmaus” e oggi si replica in 120 comunità in Francia, 10 in Italia, 450 in altri 37 Paesi.
Lo scopo di Abbè Pierre fu quello di evitare che i deboli, i poveri, i senzatetto, gli immigrati fossero abbandonati a se stessi; a loro cercò di ridare dignità, cibo, vestiti, un rifugio; era fortemente convinto che i bisognosi potessero, poi, aiutare altri come loro e così avvenne, nelle sue comunità.
“La nostra epoca mostra più delle altre che il vero modo d’impiego della vita è vivere la condivisione. L’uomo è legato a Dio dalla sua libertà che gli permette di amare. Non basta dire “sono libero”, se questa libertà non è realizzata nell’amore”.
Ebbe la stima del Vaticano, di Papa Roncalli che lo definiva “il mio carbone ardente”, come di Papa Paolo VI, ma anche del medico luterano Albert Schweitzer, che in Africa curava i lebbrosi. Quest’ultimo, disse di lui: “Tu hai l’enorme privilegio di predicare con i fatti, le parole sono un accompagnamento in sordina”.
Anche se non mancarono le critiche e le ostilità nei suoi confronti, Abbè Pierre non smise di cogliere ogni occasione per risvegliare le menti sopite, che si adagiavano nella loro condizione di vita comoda.
Uno degli ultimi messaggi
Ecco uno dei suoi più recenti appelli, risalente al 2004: “Viviamo in una nazione ricca nella quale 3,7 milioni sono sotto la soglia della povertà, 3 milioni hanno seri problemi di casa, ci sono milioni di disoccupati. Smettetela di sentirvi impotenti davanti alle sofferenze e non delegate ad altri o allo Stato. Usciamo dal torpore che ci distrugge. Passiamo all’azione. Trasformiamo i volti anonimi della miseria in uomini e donne che ci aiutino a dare un senso alla nostra esistenza”.
Il messaggio di Abbè Pierre è valido, oggi come ieri.
Nella consapevolezza delle sue stesse ammissioni: “Penso che il divario tra ricchi e poveri esisterà sino alla fine del mondo. E il risultato della fragilità umana, dei nostri peccati ed egoismi, delle nostre ambizioni che ci portano a sfruttare gli altri e a calpestarli”, non smettiamo di lottare per un mondo più giusto e caritatevole.