La cultura della morte non si rassegna e, di fronte alle sconfitte, i suoi rappresentanti si rivelano più adirati e agguerriti che mai. La risoluzione appena votata al Parlamento Europeo ne è la dimostrazione.
L’epocale sentenza della Corte Suprema dello scorso 24 giugno è stato un colpo troppo grosso per i sostenitori dell’aborto, i quali, nel giro di due settimane scarse sono ‘corsi ai ripari’.
Vite innocenti calpestate
La risoluzione votata stamattina all’Europarlamento è stata approvata con 324 favorevoli, 115 contrari e 38 astenuti. Il testo impegna Strasburgo a presentare al Consiglio Europeo una proposta di modifica dell’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, aggiungendo il principio per cui “ogni persona ha diritto all’aborto sicuro e legale”.
Al contempo viene espressa condanna nei confronti del recente pronunciamento della Corte Suprema statunitense e dei Paesi europei che hanno introdotto restrizioni all’aborto negli ultimi anni.
In modo assolutamente irrituale, poi, la risoluzione sollecita il Congresso degli Stati Uniti ad approvare un progetto di legge che tuteli l’aborto a livello federale, probabilmente ignorando che, nei mesi scorsi, un disegno di legge simile era stato bocciato al Senato statunitense, grazie al voto contrario di Joe Manchin, l’unico senatore democratico pro-life.
Anche Polonia e Italia nel mirino
La risoluzione del Parlamento Europeo, come accennato, nasce in modo quasi istantaneo, sull’onda della “rivincita” nei confronti della sentenza della Corte Suprema statunitense.
Nel testo viene ripetutamente deplorata la decisione dei giudici d’oltreoceano, affermando che qualunque “restrizione” o “divieto” all’aborto avrebbe uno “sproporzionato impatto sulle donne povere”, in particolare le minoranze etniche, a partire dalle “donne nere, ispaniche e indigene”, così come sulle “donne delle aree rurali, sulle persone LGTIQ, sulle donne con disabilità, sulle adolescenti, sulle migranti e, in particolare, sulle migranti irregolari, sui nuclei familiari guidati da madri single”.
Al contrario, si legge nella risoluzione, i sistemi sanitari potrebbero garantire “l’accesso universale a un aborto sicuro e legale per tutte le donne, incluse quelle in situazioni socio-economiche precarie”. La risoluzione, dunque, enfatizza i disagi in cui incorrerebbero le donne costrette a “lunghi viaggi” o a ricorrere ad “aborti non sicuri”, ovvero clandestini, ipotizzando anche “un incremento delle morti correlate alle gravidanze forzate”.
La risoluzione degli eurodeputati di sinistra non prende di mira soltanto gli USA ma anche quei pochi Paesi membri dell’Unione Europea che, sull’aborto, sono andati controcorrente come Polonia, Malta, Slovacchia, Ungheria, Croazia, citando in modo clamoroso anche l’Italia, dove “l’accesso all’aborto” sarebbe stato oggetto di un’“erosione”.
Un diritto fondamentale (!)
Sulla scorta di una lunga serie di considerazioni preliminari, la risoluzione impegna il Parlamento Europeo a una serie di azioni, la prima delle quali è la “netta condanna” di tutti gli ordinamenti che, in un modo o in un altro, hanno effettuato restrizioni legislative all’aborto. A ciò si aggiunge la “solidarietà” nei confronti delle donne che, negli Stati Uniti, troverebbero difficoltà ad ottenere l’aborto.
Non manca un ‘suggerimento’ per il governo degli Stati Uniti, affinché garantisca “la protezione dei dati per tutti, in particolare per coloro che cercano, forniscono e facilitano l’aborto, consentendo l’accesso privato e protetto”.
Il vero nucleo del provvedimento, tuttavia, è l’inclusione del “diritto all’aborto” nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. La risoluzione esorta infatti la Commissione e gli Stati membri a rafforzare “il loro sostegno politico ai difensori dei diritti umani” che sostengono l’aborto e a difendere chi lo pratica e lo promuove da “contro qualsiasi persecuzione”.
Non un progresso ma “un passo indietro”
Tra i commenti dei pro-life italiani spicca quello di Assuntina Morresi, docente di chimica fisica all’Università di Perugia e membro uscente del Comitato Nazionale di Bioetica. “L’aborto non può essere un diritto, è la soppressione di una vita umana. Bisogna piuttosto considerare le leggi che lo regolamentino”, dichiara la professoressa Morresi intervistata dal SIR.
“Il diritto all’aborto – prosegue la bioeticista – collide con tutti gli altri diritti, che si basano sul diritto alla vita, e da questo punto di vista la risoluzione europea è un passo indietro, non un passo avanti. L’istituzione di un diritto va molto oltre che regolamentarne l’accesso”.
Per Jacopo Coghe, vicepresidente di Pro Vita & Famiglia si tratta di un “colpo mortifero che condanna i bambini e dunque le future generazioni europee a non vedere mai la luce”.
Con il voto di oggi, oltretutto, aggiunge Coghe, “i socialisti europei hanno tradito la memoria del compianto David Sassoli”, che nel dicembre 2013, con la sua astensione, permise di neutralizzare il rapporto Estrela, che, in qualche modo anticipava i contenuti della risoluzione odierna.
Fortunatamente, “la Risoluzione non è vincolante per gli Stati membri e faremo di tutto affinché la cultura dell’uccisione dei più deboli non prevalga, ma venga tutelato il diritto alla vita di ogni cittadino europeo”, conclude Coghe.