E’ uno studio psicologico chiamato effetto spettatore o complesso del cattivo samaritano o anche sindrome Genovese, in riferimento al primo tragico evento, documentato, che mostrò l’indifferenza, il freddo disinteresse della folla, che assiste ad un comportamento sbagliato e non interviene. Accade -spiegano gli psicologi- perché ci si nasconde dietro un senso di responsabilità collettiva, che induce a pensare: mal comune, mezzo gaudio, in poche, scarne, parole.
Ed è, forse, proprio questo che è accaduto, durante il tragico epilogo riservato a Nicolò, il più recente caso dell’effetto su citato.
Come ci hanno raccontato i telegiornali, il nostro connazionale ventiduenne è morto in una discoteca spagnola, aggredito, preso a calci e pungi, sotto gli occhi di tante persone, che non hanno mosso un dito per salvargli la vita.
Quanto deve essere terribile il dolore di un genitore che perde un figlio, da un momento all’altro, e senza una ragione?
Quanto deve essere orribile ripensare a quegli ultimi istanti di Niccolò, sapendo che ad ucciderlo è stato un egoistico menefreghismo?
E noi, umani e cristiani, proprio non ce lo possiamo permettere, questo atteggiamento; noi che dovremmo dare la vita, per salvare quella altrui, come ha fatto Cristo per noi, non possiamo tacere sul fatto che sia disumano stare a guardare; è da vigliacchi sentirsi lontani da qualcun altro che è vittima, in quel momento, sotto il nostro sguardo, a pochi centimetri dalla webcam del nostro cellulare, ma a migliaia di chilometri dalla nostra coscienza di comodo.
Addio Niccolò, con te muore il tuo progetto di vita; si sgretola il cuore straziato dei tuoi cari.
Ciò che ti è accaduto, mette in luce -perché non si dimentichi e si faccia “mea culpa”- una bella fetta di mondo e di umanità, quella che sceglie di divertirsi ed è così poco abituata ad amare; quella che non ha visto in te il fratello di cui parlava Don Tonino Bello, che aspettava me, ma io non sono arrivato in tempo: “Non farmi passare indifferente vicino al fratello che è rimasto con l’ala, l’unica ala, inesorabilmente impigliata (…) … per questo mio fratello sfortunato, dammi Signore, un ala di riserva.”. E insegnami, Signore -aggiungiamo noi- ad amare come ami tu.
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