La situazione in Afghanistan preoccupa il mondo intero, e dopo la ritirata occidentale che cosa accadrà ai tanti fedeli nel Paese.
Dopo l’avanzata dei Talebani, sono molte le persone che hanno lasciato il Paese in fretta e furia, e le scene terribili che si sono viste in queste ore su tutti i giornali lasceranno un segno indelebile nella coscienza di tanti. Oggi l’aereo dell’Aeronautica Militare italiana è atterrato a Fiumicino, proveniente da Kabul e con 74 persone a bordo. Uomini e donne che hanno lasciato il Paese dopo l’avanzata dei Talebani, tra cui personale dell’ambasciata, connazionali che si trovavano in Afghanistan, ex collaboratori afghani a rischio ritorsioni.
Si tratta, per ora, del primo volo del ponte aereo messo a punto dalla Difesa per evacuare i connazionali dall’Afghanistan. Nei prossimi giorni altri voli riporteranno in Italia i connazionali rimasti nel Paese, insieme ad altri afghani, e in queste ore una squadra del Ministero della Difesa all’aereoporto di Kabul si sta occupando degli imbarchi. In quel volo drammatico sono almeno dieci le persone rimaste uccise, in quel caos che si è creato all’aeroporto di Kabul, mentre una folla di migliaia di persone disperate si è riversata nell’area con la speranza di lasciare il Paese.
Dopo che lo scalo è stato preso d’assalto, infatti, sono partiti dei colpi e subito dopo si è innescata la fuga precipitosa, origine delle terribili morti. I militari americani stanno garantendo il traffico aereo all’aeroporto di Kabul, ma i video che arrivano sono letteralmente terrificanti, e tra questi si vedono decine di persone che circondano correndo aerei militari in fase di decollo dall’aeroporto di Kabul. Questi sono aggrappati a qualunque appiglio, tanta è la disperazione. Nel mentre, i talebani hanno diffuso un nuovo video in cui si promette “serenità” alla nazione.
“Questa è l’ora della prova. Noi forniremo i servizi alla nostra nazione, daremo serenità alla nazione intera e faremo del nostro meglio per migliorare la vita delle persone”, sono le parole pronunciate nel filmato dal mullah Baradar Akhund, seduto nel palazzo presidenziale attorniato dai suoi miliziani armati. “Il modo in cui siamo arrivati era inatteso e abbiamo raggiunto questa posizione che non ci aspettavamo”.
L’unica notizia certa è che ora l’’Afghanistan tornerà al nome che aveva prima dell’arrivo degli americani nel 2001, vale a dire Emirato Islamico dell’Afghanistan. Tuttavia i talebani hanno accettato che decine di migliaia di connazionali vengano evacuati dal ponte aereo americano. Questo perché ci sono diversi aspetti che giocano a loro vantaggio: eliminare oppositori al regime della sharia e accreditarsi di fronte alla comunità internazionale come movimento talebano non più sanguinario. Puntando così al riconoscimento sul piano internazionale e al favorire dei rapporti economici e commerciali.
Gli unici a non aver evacuato le ambasciate a Kabul sono Russi e cinesi, che hanno mantenuto rapporti nell’intenzione di mantenere vivi gli scambi economici, visto ad esempio che la Cina ha alcune compagnie minerarie impegnate in Afghanistan. Ma con il ritiro delle forze armate statunitensi di fatto il Paese cade nel baratro, come dimostrano le decine di migliaia in fuga dalle zone di guerra, aumentando la pressione in direzione dei Paesi circostanti.
Una situazione documentata anche da Caritas italiana, impegnata in Afghanistan ormai da lungo tempo, fin dagli anni Novanta. In queste ore Caritas è stata costretta a una dolorosa decisione, quella cioè di “sospendere tutte le attività” per via della situazione dolorosa che si è venuta a creare. Crescono infatti “i timori per la possibilità di mantenere una presenza anche per il futuro, oltreché per la sicurezza dei pochi afghani di confessione cristiana”.
“Assieme al personale delle ambasciate, anche i pochissimi sacerdoti, religiosi e religiose che si trovano a Kabul si stanno preparando al rientro obbligato”, spiegano. Nel confinante Pakistan, invece, la Caritas “avvierà una valutazione della situazione nella regione di Quetta, ai confini con l’Afghanistan”. Mentre si spiega che i Paesi occidentali “si troveranno a fronteggiare una pressione sempre maggiore di persone in fuga da questo Paese, dove forse troppo frettolosamente l’occidente ha pensato di poter esportare delle ricette sociali”.
Proprio in Pakistan, in queste ore, si dice che si sia raggiunta la maggior vittoria. L’accusa è che il Paese abbia assistito l’offensiva talebana, organizzandola e infiltrando le truppe governative, puntando così al controllo del prossimo governo islamico afgano. Nel Paese, la comunità cristiana è piccola ma significativa, e tra le tante difficoltà negli ultimi anni non ha mai smesso di testimoniare l’attenzione verso i più poveri e fragili. La domanda però è la stessa per tanti: quale futuro, ora, attende l’Afghanistan?
Molto dipenderà proprio dalle decisioni che verranno assunte in Pakistan, vero e proprio sostenitore del movimento talebano e secondo alcuni artefice politico e militare del blitz che ha travolto il Paese. I talebani, infatti, “sono profondamente radicati nella cultura tribale dell’etnia pashtun, che coinvolge il 35% della popolazione dell’Afghanistan e il 40% di quella del Pakistan”, spiega a Il Sussidiario Paul Bhatti, chirurgo pakistano presidente della Shahbaz Memorial Trust, fondazione eretta in onore del fratello Shahbaz Bhatti, ministro del Pakistan per le minoranze religiose ucciso da fondamentalisti islamici.
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“La storia la sappiamo bene, sin dai tempi degli inglesi i pashtun sono sempre stati un’etnia battagliera che ha sempre combattuto contro qualunque tipo di invasione, sia inglese che sovietica, e da ultimo la coalizione internazionale. Gli americani hanno cercato di controllarli, poi, quando gli Usa si sono ritirati, i talebani hanno cominciato a progredire e sono arrivati a Kabul. È una loro caratteristica: sono una delle popolazioni più irriducibili al mondo, impossibile da controllare e da comandare”.
Con questa mossa, il Pakistan secondo gli analisti più critici intenderebbe porre sotto la sua diretta influenza il nuovo governo afghano dominato dai talebani offrendo garanzie anche agli oppositori tagiki e uzbeki. La vittoria lampo dei talebani porterebbe così consistenti vantaggi al Pakistan, che in questo modo si pone come interlocutore di Cina e Russia e stronca sul nascere l’iniziativa del presidente Ashraf Ghani con l’India.
Intanto, ieri il presidente americano Joe Biden ha parlato all’America, rivolgendosi alla nazione e dando conto dei suoi errori e di quelli compiuti dagli Usa negli ultimi venti anni. “Gli americani sono intervenuti per combattere al Qaeda e uccidere o catturare Osama Bin Laden, il loro leader, responsabile degli attacchi dell’11 settembre. La loro intenzione era distruggere la rete terroristica che in Afghanistan aveva trovato la sede e la possibilità di sferrare attacchi al mondo occidentale, e in questo sono pienamente riusciti, l’Afghanistan non è più sede di gruppi terroristici”, commenta Paul Bhatti.
Ora non ci resta che restano aggrappati alla speranza di un domani migliore, ma il dolore e la preoccupazione è tanta. Papa Francesco ha lanciato un forte appello domenica al termine dell’Angelus in Piazza San Pietro, unendosi “all’unanime preoccupazione per la situazione in Afghanistan”.
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“Vi prego di pregare con me il Dio della pace affinché cessi il frastuono delle armi e le soluzioni possano essere trovate al tavolo del dialogo. Solo così, la martoriata popolazione di quel Paese – uomini, donne, anziani e bambini – potrà ritornare alle proprie case, vivere in pace e sicurezza nel pieno rispetto reciproco”, ha affermato il Papa. Insieme a Francesco, preghiamo il Signore affinché possa mettere fine a questo scempio e ristabilire una volta per tutte la pace su questa terra.
Giovanni Bernardi
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