Nel Vangelo Gesù Cristo si scaglia contro i farisei accusandoli di andare alla ricerca di una verità fittizia, di una verità di comodo. Il figlio di Dio li accusava di escludere dal regno dei cieli tutti coloro che non ritenevano degni, senza dare loro la possibilità di ravvedersi, comprendere e entrare a far parte di quel luogo di speranza che invece Dio concede a tutti, anche coloro che hanno peccato se solo desiderano realmente farne parte. Nel vangelo infatti si legge: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate”. Proprio questo atteggiamento di utilizzare la religione a loro uso e consumo era ciò che li rendeva indegni di far parte del regno dei cieli, ma aveva anche un effetto controproducente per chi (privo della loro arroganza) voleva sinceramente farne parte e ne meritava l’accesso.
L’ammonimento che Gesù volgeva ai farisei è applicabile anche ai giorni nostri, a coloro i quali si fanno scudo della religione e delle preghiere per manifestare la propria intolleranza e giustificare, sfogandole, le proprie frustrazioni. Credere in Dio ed essere praticanti non ci può distogliere da quello che il messaggio di Dio più importante: offrire carità e misericordia. Se oggi, come allora, utilizziamo i comandamenti ed i dettami religiosi per scagliarci contro coloro che per scelta o per debolezza non sono in grado di seguirli, la preghiera, la confessione e la partecipazione alla Messa non ci rende dei buoni cristiani. Ciò che più conta nella vita di ogni cristiano è la disponibilità nei confronti dell’altro, la misericordia, la capacità di concedere il perdono in qualsiasi condizione si trovi l’altro. Fare questo non significa tollerare ogni tipo di comportamento, ma essere disposti ad accettare ed accogliere l’altro poiché nessuno, nemmeno il più rigoroso osservante, è privo di peccato.
Luca Scapatello
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