Come sempre, Alessandro D’Avenia ha spiazzato tutti. Traendo spunto da due terribili fatti di cronaca.
Ovvero l’uccisione di Giulia Tramontano e del bimbo che portava in grembo da parte del compagno di lei (citato a inizio articolo) e il tragico incidente di Casalpalocco (menzionato alla fine) – l’insegnante-scrittore, nella sua rubrica sul Corriere della Sera, indica al lettore un’altra prospettiva, quella che quasi nessuno immaginerebbe mai.
Spesso capita che le storie tragiche conquistino le prime pagine di tutti i giornali mentre le storie a lieto fine, rimangano ingiustamente nell’ombra. Sono proprio le vicende luminose, tuttavia, che possono insegnarci qualcosa in più delle altre.
Quella saggezza ancestrale ereditata dai nonni
Il vero spunto da cui D’Avenia parte, tuttavia, è la selettività della nostra memoria, forzosamente corrotta dall’“infodemia” e da una quantità diluviale di informazioni che, in fin dei conti, ci è molto poco utile.
Non così per le civiltà arcaiche. Le popolazioni che vivono più a contatto con la natura – comunicando con essa, piuttosto che pretendendo di dominarla – riescono a compiere imprese da lasciare sbalorditi i nativi digitali. Questi ultimi hanno sempre una app a portata di mano per qualsiasi esigenza ma, senza le tecnologie di ultima generazione, si sentono sperduti, come dei pulcini implumi scaraventati già dal proprio nido.
C’è un altro fatto di cronaca che D’Avenia cita e stavolta lo fa in maniera ben più sistematica e dettagliata. A differenza degli altri due è una storia avvenuta molto lontano dall’Italia, è a lieto fine e nel nostro Paese era passata pressoché inosservata.
In Colombia, quattro fratelli di 13, 9, 5 e 1 anni sono tra gli undici superstiti del disastro aereo avvenuto recentemente nella giungla di Guaviare. Guidati dalla più grande, Lesly, i quattro orfanelli (i genitori sono periti nello stesso incidente) hanno messo a frutto la saggezza ancestrale dei loro nonni, cresciuti proprio nella foresta amazzonica.
“Poco prima di spirare dopo lo schianto dell’aereo la madre ha suggerito loro di muoversi continuamente, così facendo sarebbero stati meno a rischio di predatori – ricorda D’Avenia –. E così la ragazzina ha guidato i fratelli nella giungla tropicale per più di un mese, orientandosi con i raggi del sole, riconoscendo i sentieri nascosti, sapendo come procurarsi acqua potabile, quali frutti e funghi mangiare e quali evitare”.
Immaginarsi un gruppo di giovani “tecnologici” perduti nella foresta…
L’interrogativo suscitato da questa incredibile vicenda è: “Come sarebbe andata a un nostro/a tredicenne?”. Mandare la propria posizione nel cuore della giungla “non avrebbe gran fortuna”. Lesly e i suoi fratelli, senza alcun cellulare, né alcun tablet hanno trascorso quaranta giorni nella foresta pluviale, affrontando egregiamente tutti i disagi e i pericoli. Fino al giorno in cui la squadra di soccorsi non li ha ritrovati.
Non si tratta certo di sminuire l’utilità delle tecnologie odierne. La morale di questa storia, però, ci dice che non sarà mai la scienza a salvarci ma la nostra forza interiore, quell’istinto di sopravvivenza con cui l’uomo dà il meglio di sé, nel momento in cui è moralmente denudato e messo con le spalle al muro.
Si arriva così al supremo paradosso: Lesly e i suoi fratelli sono stati “partoriti dalla giungla”, che ha restituito alla civiltà quattro bambini temprati dalle difficoltà e maturati più in quei quaranta giorni che nel resto della loro vita.
Nel tragico incidente avvenuto nella periferia di Roma, al contrario, la tecnologia che – sulla carta – avrebbe dovuto migliorare la vita di cinque giovani youtuber, è stata la causa più o meno indiretta della morte di un bambino di cinque anni e del ferimento grave della mamma e della sorellina.
Due episodi molto diversi e non paragonabili? Può darsi. La cosa sicura è che il progresso della scienza e della tecnica non è mai privo di ombre, né va mai promosso in modo acritico, così come non va aprioristicamente ostacolato (ammesso e non concesso che siano in così tanti a farlo). Il vero primato dovrebbe rimanere sempre e solo quello dell’uomo e della sua coscienza che – per chi crede – coincide con la volontà di Dio.