La deportazione in un lager nazista, l’amicizia speciale con il futuro Papa, e la grazia ricevuta grazie all’intercessione di Padre Pio: parla da sola la sua intensa biografia.
Wanda Poltawska è una di quelle persone diventate celebri suo malgrado. Da giovane, questa schiva e illustre polacca tutto avrebbe immaginato tranne che la sua vita sarebbe stata così lunga e, soprattutto, così densa di avvenimenti fuori dal comune.
“Cavia” dei crudeli esperimenti nazisti
Nata a Lublino il 2 novembre 1921, Wanda Wojtasik crebbe in una famiglia assai religiosa e trascorse la sua gioventù negli scout. Dopo l’invasione nazista del 1939, aderì a un gruppo dissidente.
Due anni dopo fu scoperta, arrestata, torturata e, nel novembre 1941, deportata nel campo di concentramento di Ravensbrück, con il numero 7709.
Qui venne sottoposta alle sperimentazioni dei medici delle SS. Un’esperienza che la segnò a vita e che plasmò profondamente tutte le sue successive scelte umane e professionali.
“Durante la mia prigionia al campo di Ravensbrück vedevo i nazisti buttare i neonati nei forni crematori: per tutta la vita avevo davanti agli occhi queste immagini strazianti. Per questo motivo mi sono promessa, se fossi sopravvissuta, di studiare medicina e di difendere la vita”, dichiarò nel 2014 (cfr Wlodzimierz Redzioch, Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici e i collaboratori raccontano, Ares, 2014).
Un amico di nome Karol
Negli anni post-bellici, la Poltawska studiò medicina, laureandosi nel 1951 all’Università Jagellonica di Cracovia, per poi prendere il dottorato di ricerca in psichiatria nel 1964. Sposata per più di settant’anni con Andrzej Półtawski, ha avuto da lui quattro figlie.
Finito il nazismo, la Polonia finì sotto il giogo comunista e questo rese la giovane psichiatra più che mai inquieta riguardo al futuro suo e del proprio Paese.
A farle cambiare radicalmente prospettiva fu l’incontro con un sacerdote di grande carisma, che diventò il suo confessore. Quell’uomo, ai tempi cappellano degli studenti di medicina, si chiamava Karol Wojtyla.
Nello studio della dottoressa Poltawska, venivano in cerca del suo aiuto anche tante coppie in crisi. “Subito mi resi conto che avevo bisogno di un sacerdote. Don Wojtyła si occupava di questo tipo di pastorale e così ha cominciato ad aiutarmi”, rivelò lei stessa in un’intervista all’Osservatore Romano nel 2012.
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Quando poi apprese dei trascorsi della Poltawska nel lager, il futuro papa mostrò molto interesse per quella vicenda ed intrecciò con lei un’amicizia speciale. “Lui, infatti, pensa che quelli che hanno sofferto durante la guerra hanno sofferto per lui, perché a lui è stata risparmiata tale sofferenza”, ha raccontato anni dopo.
Il miracolo di un frate italiano
Nel 1962, Wanda Poltawska si ammalò di cancro. Monsignor Wojtyla, per l’occasione, scrisse a un suo amico cappuccino italiano, padre Pio da Pietrelcina, al quale chiese di intercedere per lei. Wojtyla, che a quel tempo era arcivescovo ausiliare di Cracovia, era in partenza per Roma, dove avrebbe preso parte al Concilio Vaticano II.
Venuto a conoscenza della malattia della sua figlia spirituale, Wojtyla si ricordò del suo viaggio a San Giovanni Rotondo – avvenuto nel 1948, quando era studente di teologia a Roma – e del suo indimenticabile incontro con Padre Pio.
Il vescovo polacco recapita al carismatico frate pugliese le seguenti parole: “Venerabile Padre, Ti prego di rivolgere una preghiera per una madre di quattro figlie, di quarant’anni, di Cracovia in Polonia, (durante l’ultima guerra in campo di concentramento in Germania), ora in pericolo gravissimo di salute e della vita stessa per un cancro: affinché Dio per intercessione della Beatissima Vergine mostri la sua misericordia a lei e alla sua famiglia in Cristo obbligatissimo + Carolus Wojtyla vescovo titolare di Ombi vicario capitolare di Cracovia”.
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Al dattilografo della Santa Sede che andò di persona a recapitare la lettera, Padre Pio rispose: “A questo non si può dire di no”. Nella sua risposta inviata in Vaticano, il frate fece una delle sue tante profezie: la signora polacca malata “guarirà” e “lavorerà molti anni per la Santa Sede”. Entrambe le cose puntualmente si verificarono.
La mattina stessa in cui era stato programmato il suo intervento chirurgico, Wanda Poltawska si risvegliò senza più alcun dolore. Recatasi in ospedale, viene sottoposta alle radiografie pre-operatorie che rilevano la totale sparizione del tumore. Quell’intervento, le cui possibilità di successo erano scarsissime, intorno al 5%, ormai non serviva più.
Cinque anni dopo, la Poltawska ebbe l’occasione di visitare l’Italia (cosa difficilissima durante il comunismo) e si recò anche a San Giovanni Rotondo, per conoscere il frate cui doveva la sua guarigione miracolosa.
Rimasta impressionata della sofferenza con cui Padre Pio celebrava la messa, con le stimmate che gli sanguinavano, la psichiatra vide poi il frate avvicinarsi a lei a fine celebrazione. Nessuno lo aveva avvertito dell’arrivo della Poltawska, ma lui le diede una carezza sul capo, domandandole: “Adesso va bene?”. Padre Pio aveva compreso per grazia divina che quella donna per sua intercessione miracolata era davanti a lui.
Habemus Papam
A partire dal 1956, anno in cui fu varata in Polonia la prima legge sull’aborto, Wanda Poltawska divenne una delle figure di spicco del movimento pro life polacco. In quest’opera, Wojtyla fu sempre al suo fianco, aiutandola nella fondazione nel 1967 dell’Istituto Teologico di Cracovia.
L’arcivescovo di Cracovia, divenuto nel frattempo cardinale, trasse ispirazione da quell’esperienza, durante la stesura dell’enciclica di San Paolo VI, Humanae vitae, a cui collaborò attivamente.
Nel 1978, poco dopo la sua elezione a papa, Giovanni Paolo II scrisse nuovamente alla dottoressa Poltawska: “Sei stata per me il mio esperto personale nel campo di Humanae Vitae. È stato così per più di vent’anni e questo bisogna continuare a mantenerlo”.
La collaborazione tra Giovanni Paolo II e Wanda Poltawska è rimasta intensa per tutto il pontificato. Nel 1983, il Papa nominò la psichiatra polacca membro del Pontificio Consiglio della Famiglia, poi, nel 1994, membro della Pontificia Accademia per la Vita e, infine, consultore del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari.
Testimone di una Polonia cristiana e libera
Alla soglia dell’incredibile traguardo del secolo di vita, Wanda Poltawska continua a fare interventi pubblici e a far parlare di sé. In occasione dei cent’anni dalla nascita di San Giovanni Paolo II, la psichiatra polacca ha scritto sull’Osservatore Romano: “Se si vuole ora davvero onorare il centenario della sua nascita e la sua memoria, io vedo solo un modo: convertire le persone affinché capiscano che ogni bambino e ogni persona hanno il diritto alla vita. L’unico Signore della vita è il Creatore che ama il suo creato. Sono sicura che una legge internazionale che vieti di uccidere i bambini non nati potrebbe essere un ‘regalo’ dell’umanità per questo grande uomo”.
Esattamente un anno fa, nei giorni difficili delle manifestazioni di piazza a favore dell’aborto, dopo la sentenza della Corte Costituzionale polacca, che lo vietava anche in caso di malformazioni del feto, la Poltawska, a 99 anni, dalla finestra della sua casa a Cracovia, ha visto le mura dei palazzi imbrattate dalla scritta “l’aborto è OK”.
Negli stessi giorni, in tutto il paese, chiese e monumenti a San Giovanni Paolo II venivano vandalizzati dagli abortisti. Un dolore e un’amarezza sconfinati per una donna che ha lottato contro due dittature e che ha sperimentato sulla propria pelle il disprezzo della vita.
C’è da scommettere che in quei difficili giorni, più che mai, Wanda Poltawska si sia rivolta nella preghiera al suo amico papa santo, nella volontà di continuare fino all’ultimo istante la battaglia più grande: quella per la dignità dell’uomo.
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