Il Giubileo della Misericordia arriverà anche nei campi di caravan dove hanno trovato rifugio i cristiani di Mosul e della Piana Ninive. «A rappresentare questa loro nuova condizione di vita è una tenda, l’unico riparo che hanno avuto dopo essere fuggiti», spiega mons. Warda. «ecco perché vorremmo rappresentasse la porta santa della misericordia»
Una tenda come porta santa del giubileo. Accadrà — almeno questo è il desiderio della comunità locale — tra pochi giorni a Erbil, la capitale del Kurdistan iracheno, dove dall’estate dello scorso anno è confluita la maggior parte dei 120.000 cristiani di Mosul e della Piana Ninive messi in fuga dall’avanzata dei miliziani del sedicente Stato islamico. A Erbil, in particolare nel quartiere di Ankawa, i cristiani hanno trovato protezione, anche se la loro presenza non ha prospettive. «La gente vorrebbe tornare nelle proprie città e villaggi ma ciò è semplicemente impossibile», testimonia il patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphaël Sako, che nella lettera pastorale intitolata «La misericordia è il cammino del cristiano» esorta a vivere il giubileo nella memoria dei “martiri” della Chiesa locale, come l’arcivescovo di Mosul, Paolo Faraj Rahho, i padri Raghid Ganni, Wassim e Thair e tanti fedeli che negli ultimi tempi hanno perso la vita per la loro fede.
«Per noi cristiani dell’Iraq il martirio è il carisma della nostra Chiesa — spiega il patriarca — in quanto minoranza siamo di fronte a difficoltà e sacrifici, ma siamo coscienti di essere testimoni di Cristo e ciò può significare arrivare al martirio». A Baghdad la porta santa sarà aperta dallo stesso Sako il 19 dicembre nella cattedrale intitolata alla Madonna Addolorata, da poco restaurata. Tanti gli eventi che la Chiesa caldea propone ai propri fedeli per prepararsi a vivere spiritualmente il giubileo. Tra le iniziative, «la più importante — spiega monsignor Basel Yaldo, vescovo ausiliare del patriarcato — sarà un pellegrinaggio a Ur dei caldei, la patria di Abramo. Chiederemo misericordia per i nostri rifugiati, non solo cristiani ma anche musulmani. Offriremo penitenze per chiedere il dono della pace per tutti e faremo gesti concreti. Per esempio a Natale daremo alle nostre famiglie più bisognose una piccola somma di denaro come gesto di vicinanza. Nelle chiese del Paese verranno aperte le Porte della misericordia, per tutti, cristiani e musulmani».
L’arcivescovo di Erbil dei Caldei, Bashar Matti Warda, invece, aprirà la porta santa nella cattedrale di San Giuseppe, nel sobborgo cristiano di Ankawa, il 13 dicembre. «In questi mesi — ha raccontato il presule all’agenzia Sir — abbiamo intrapreso un cammino di preparazione con tanti nostri fedeli rifugiati. Essi hanno bisogno di supporto spirituale e materiale, hanno bisogno di pregare, di raccontare le loro storie, di rielaborare ciò che è accaduto per prendere coscienza della situazione in cui oggi si trovano. Hanno bisogno di tutto perché non hanno più nulla. Sono aggrappati alla fede in Cristo. Questa li sostiene e dà loro forza per andare avanti, nonostante tutto». Anche se oggi in tanti vivono in piccoli appartamenti e caravan, doni delle Chiese di tutto il mondo e della comunità curda. A rappresentare questa loro nuova condizione di vita è una tenda, l’unico riparo che hanno avuto dopo essere fuggiti. Per questo, rivela monsignor Warda, «vorremmo ci fosse anche una tenda a rappresentare la porta santa della misericordia». Un desiderio che l’arcivescovo sta cercando di realizzare insieme a padre Douglas Al Bazi, sacerdote caldeo che in passato è stato rapito e torturato dai terroristi fondamentalisti.
«Abbiamo una vocazione — ribadisce monsignor Warda — testimoniare la gioia del Vangelo anche se viviamo in un Paese dilaniato dall’odio e dalla guerra. L’anno santo sarà un tempo di benedizioni». E una benedizione è sicuramente anche l’inaugurazione, sempre ad Erbil, della nuova Università cattolica, che si terrà il prossimo 8 dicembre.
A Baghdad, nel frattempo, grazie anche al sostegno fornito da Aiuto alla Chiesa che soffre, è stata aperta una cappella-container all’interno del campo profughi intitolato alla Vergine Maria. La chiesa — riferisce un comunicato della fondazione pontificia — è stata consacrata nei giorni scorsi da monsignor Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo di Baghdad dei Latini. «Questa cappella restituisce ai fedeli un pezzetto della loro casa. E ora possono tranquillamente andare a messa senza rischiare la propria vita», dice padre Luis Montes, religioso argentino che vive nella capitale irachena da cinque anni e riferisce dell’altissimo numero di attacchi. «Soltanto nel mese di ottobre vi sono stati 128 bombardamenti. Non mi stupisce che la gente abbia paura di uscire per andare a messa», spiega sottolineando quanto sia importante per i rifugiati avere una chiesa all’interno del campo. Le 135 famiglie accolte sono tutte cristiane, fuggite da Mosul e dalla Piana di Ninive. «Molti di loro sono venuti a Baghdad perché i campi profughi del Kurdistan erano già estremamente affollati — racconta padre Luis — mentre altri hanno scelto la capitale per poter richiedere i propri documenti, dimenticati o persi nella fuga, e lasciare il Paese».