In questi giorni si continua a discutere della questione del Ddl Zan, ed è forte l’aggressività propagandistica dei grandi media, insieme ad artisti e influencer.
Tuttavia, allo stesso tempo si allarga il fronte degli oppositori, e non solo da parte delle categorie tradizionalmente schierate contro l’ideologia lgbt. Nei giorni scorsi, infatti, alle voci preoccupate per le ricadute che la legge rischia di avere sulla libertà di opinione, di pensiero e di educazione, si sono aggiunti gruppi di femministe profondamente spaventata per tutto ciò che la legge implica.
La preoccupazione è che alle porte ci sia il rischio di un vero e proprio sdoganamento della maternità surrogata, e che si verifichi nel nostro Paese quanto si sta tristemente assistendo in molti altri Paesi occidentali. Vale a dire, un’apertura acritica a ogni scelta di “genere”. Questa battaglia ideologica, infatti, si pone come alternativa alla tradizionale battaglia del mondo femminista, ad esempio per l’integrazione e l’uguaglianza tra uomo e donna, rischiando di ingenerare esattamente l’effetto opposto.
Cancellare cioè anni e anni di battaglie per la libertà della donna, annullando propriamente il sesso biologico, e quindi annullando la donna in quanto tale. Ciò che è successo alla scrittrice J.K. Rowling ne è l’emblema più famoso, ma continuamente si leggono storie di questo genere in ogni Paese. L’autrice di Harry Potter è stata infatti pesantemente attaccata perché ha rilevato he in certi contesti è ormai impossibile anche solamente definirsi come “donna”, in quanto “trans-escludente”.
Ci sono però alcuni segnali positivi, nel nostro Paese, di fronte a questa degenerazione. Che arrivano innanzitutto dal consenso trasversale che si sta formando per un’iniziativa di legge contro l’utero in affitto. Ma che proseguono con la critica serrata al Ddl Zan, disegno di legge ora all’esame del Senato. La critica punta il dito sulla definizione di identità di genere. Pochi sanno cosa sia, ma molti capiscono perfettamente che c’è qualcosa che non va. Che nel silenzio della ragione si rischia di generare veri e propri mostri.
Per capirsi meglio, con la definizione di “identità di genere” si afferma in sostanza che chiunque può, in maniera del tutto arbitraria, sostenere di essere di sesso diverso da quello biologico che il Signore gli ha donato. E quindi essere considerato dallo Stato per tale definizione, maturandone anche tutti i diritti connessi.
Se si entra nel dettaglio, ci si rende conto della grave stortura che ne deriva. L’individuo in questione, infatti, potrà svolgere competizioni femminili e vincerle, entrare nei bagni femminili, avere diritto alle quote rosa, e così su molte altre questioni ben più rilevanti. L’effetto è il rinnegamento di quei diritti femminili che le donne hanno conquistato in lunghi anni di battaglia.
Oltre che, per molti, di un’evidente disconnessione sociale dalla realtà. Non bastasse, a preoccupare fortemente c’è la questione delle lezioni gender nelle scuole di ogni ordine e grado, per i bambini di ogni età. Realisticamente, se davvero le famiglie italiane fossero pienamente informate di questo particolare, le voci critiche sarebbero davvero più forti e radicali.
La mancanza di definizione chiara di cosa sia l’identità di genere e perché debba essere non solo tutelata, ma persino imposta come educazione verso i minori, per molti non è altro che l’anticamera di una sorta di neo-dittatura del pensiero che già oggi si vorrebbe imporre, a chiunque. Ad esempio ai cattolici, nelle chiese, o a chiunque la pensi diversamente e in maniera critica. Nel mondo anglosassone ci sono già donne che vengono messe alla gogna solamente per dichiararsi tali, per dirsi donne.
C’è chi vorrebbe che questa distorsione della ragione e del pensiero diventasse legge. Per il nuovo segretario del Partito democratico Enrico Letta, sedicente cattolico forse ben più interessato ad anteporre il calcolo politico a ogni ragionamento, il Ddl Zan sarebbe addirittura una “priorità”.
L’idea che questa legge ideologica possa cancellare decenni di conquiste delle donne comincia però a farsi strada anche nel mondo femminista, in cui si afferma: il genere femminile non può infatti essere ridotto a “uno dei generi possibili”.
Che “la formula ‘identità di genere’, al centro del ddl Zan, rischia di avere un grave impatto sulla vita delle donne”, come ha affermato un cartello di diciassette associazioni del mondo femminista e lesbico. “In tutto il mondo l’identità di genere viene oggi brandita come un’arma contro le donne. Non è più il luogo in cui il sesso si coniuga con tutte le determinazioni sociali e storiche”, ma “il luogo in cui si vuole che la realtà dei corpi – in particolare quella dei corpi femminili – venga fatta sparire”.
La conclusione del ragionamento è che tutto questo non è altro che “la premessa all’autodeterminazione senza vincoli nella scelta del genere a cui si intende appartenere, è l’essere donna a disposizione di tutti. È il luogo in cui le donne nate donne devono chiamarsi ‘gente che mestrua’ o ‘persone con cervice’ perché nominarsi donne è trans-escludente”.
Insomma, la rabbia cresce e va di pari passo con la preoccupazione. “Chi dice che una donna è un adulto umano di sesso femminile viene violentemente messa a tacere, come è capitato a molte femministe: da Germaine Greer a Sylvane Agacinski, Julie Bindel, Chimamanda Ngozi Adichie e ora anche a J.K. Rowling, l’autrice di Harry Potter, perseguitata per essersi detta donna e aver rifiutato la definizione di ‘persona che mestrua’”.
Questi, purtroppo, sono i fatti. “In California 261 detenuti che ‘si identificano’ come donne chiedono il trasferimento in carceri femminili. Il ‘genere’ in sostituzione del ‘sesso’ diviene quindi il luogo in cui tutto ciò che è dedicato alle donne può essere occupato dagli uomini che si identificano in ‘donne’ o che dicono di percepirsi ‘donne'”, ribadisce la nota
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Insomma, il messaggio conclusivo delle femministe è chiaro: “Il tempo per correggere il Ddl c’è, non accettiamo il prendere o lasciare né la liquidazione del nostro pensiero come omofobico”. E la certezza è una: “l’espressione ‘identità di genere’ non è ammissibile”.
Nei giorni scorsi lo ha sottolineato, con garbo, anche il quotidiano della Cei Avvenire, rispondendo a una lettera inviata dall’estensore della legge Alessandro Zan. Il deputato ha sostenuto che quella lgbt, a suo avviso, non avrebbe a che fare con “minoranze”, ma “dimensioni dell’identità personale di ciascun individuo, come il sesso, il genere, l’orientamento sessuale, l’identità di genere e la disabilità, dimensioni che la Repubblica ha il compito di preservare e difendere”.
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In sostanza, Zan usa un ragionamento scaltro per affermare, purtroppo in maniera subdola e implicita, la sua visione ideologica dell’umano e della società. A suo avviso, la condizione lgbt non ha soltanto a che vedere con gli esponenti di questa ideologia, ma con tutti. In sostanza, questo è quello che si vorrebbe insegnare anche ai bambini: il pensiero unico dell’ideologia gender. Che il proprio sesso non è quello biologico, con cui si nasce, ma che lo si sceglie. I bambini, quindi, posso essere liberamente indottrinati a cambiare sesso e a scegliere qualsiasi cosa venga loro in mente, e tutto ciò dovrebbe persino essere tutelato dalla Repubblica, sostiene il parlamentare del PD.
Non si può abbassare la guardia di fronte a questo scempio. “È un allarme sentito da gran parte del mondo femminista, ferito e diviso dal tenore di questa iniziativa normativa”, spiega il direttore di Avvenire Tarquinio rispondendo alla lettera.
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“È un allarme confermato dai vescovi Italiani, che per primi lo fecero suonare. È un allarme profondo, proprio come quello che risuona per altri punti del testo che (non da solo, anche se è il solo già approvato dalla Camera) è ora all’esame del Senato. Penso, in particolare, alla lettera “d” dell’art. 2 e all’art. 4 che finiscono per lasciare aperta la porta alla sanzione penale non solo di chi compie, come lei scrive, “un determinato comportamento violento” o istiga concretamente a esso, ma persino di chi esprime una civile opinione. Non voglio qui entrare nei dettagli, ma semplicemente sottolineare un problema di efficacia della legge è una questione di libertà di tutti”.
Giovanni Bernardi
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