Ripercorriamo la storia del canto devozionale dedicato alla Vergine Madre, grazie allo studio condotto daL Prof. Pier Luigi Guiducci.
“Andrò a vederla un dì”: questo canto di devozione verso la Vergine Madre risuona nelle nostre corde come un elemento radicato e impermeabile. Seppur, nell’immaginario devozionale, questo “canto-preghiera” sia stato ancorato alla tradizione, possiamo collocarlo nella Francia di fine Ottocento. Il canto fu prodotto da Pietro Janin, come ringraziamento alla Vergine, che lo guarì. L’autore non era nuovo alla scrittura devozionale, soprattutto nei confronti di Maria, alla quale dedicò, già prima del canto (la cui trascrizione francese è J’irais la voir, un jour) due poemi e alcuni canti.
“Andrò a vederla un dì”: l’autore della preghiera
La ricerca ha dunque condotto a Pietro Janin, nato il 30 novembre del 1824 a Montluel (Francia). L’autore (ordinato Sacerdote 1851) fu colpito da una grave malattia, dalla quale riuscì a guarire grazie all’ausilio della Vergine di La Salette, più volte apparsagli. «La guarigione diventa segno di un’attenzione particolare della Madre di Dio. Rappresenta un Suo dono. La devozione a Nostra Signora della Salette diventerà così un qualcosa di vitale che segnerà in modo indelebile tutta la sua esistenza» (P.L. Guiducci).
Un “trovatore mariano”
Padre Janin si spense nel 1899. Fino all’ultimo dei suoi giorni intonò canti devozionali verso Maria Vergine (egli stesso si definiva un “trovatore mariano”, in un linguaggio che richiama la poesia tardo-medievale francese) a dimostrazione di quanto, non solo nell’impegno quotidiano, ma anche nella poesia e nel canto, si manifesti l’amore e l’abbraccio della vita in Cristo.
Un canto di ringraziamento e di contemplazione
È un canto, quello scritto da Janin, di ringraziamento per la forte presenza mariana nella sua vita, una presenza che dona conforto e speranza. Ma, allo stesso tempo, è un canto che “guarda” al Cielo (si pensi al suo ritornello, dove la parola Ciel risuona senza sosta). Cosa ci indica tutto ciò? In primo luogo la prospettiva verso cui questa preghiera si proietta, ovvero la Casa del Padre, il Cielo. Questa prospettiva esprime «una contemplazione del Cielo, cioè del Paradiso, che è la casa di Dio» (Ibid).
In conclusione
È in quest’ottica, conclude lo storico, che bisogna leggere (e intonare) questo bellissimo canto-preghiera: quella di Padre Janin non è una lezione di mariologia, ma è espressione di un moto dell’animo che si rivolge a Dio, con l’ausilio della Madre Celeste.
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Fabio Amicosante
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