Papa Francesco riflette sull’insegnamento evangelico più difficile da mettere in pratica ed esorta a riflettere sull’effettiva utilità della logica del “dare e avere”.
Una lettura dalle parole “esigenti” e, all’apparenza, “paradossali”: così papa Francesco illustra il Vangelo odierno (Mt 5,38-48), sull’amore per il nemico.
Nell’amore bisogna “sbilanciarsi”
“È normale per noi amare quelli che ci amano ed essere amici di chi ci è amico”, ha osservato il Santo Padre, riprendendo le parole di Gesù: «che cosa fate di straordinario?» (v. 47). Gesù vorrebbe, cioè, qualcosa che vada “oltre i limiti del consueto, che supera le prassi abituali e i calcoli normali dettati dalla prudenza”.
Il comportamento umano abituale è quello di cerca di “avere tutto abbastanza in ordine e sotto controllo, in modo che corrisponda alle nostre aspettative”.
Nel timore di “non ricevere il contraccambio o di esporci troppo e poi restare delusi – ha proseguito il Pontefice – preferiamo amare soltanto chi ci ama, fare del bene solo a chi è buono con noi, essere generosi solo con chi può restituirci il favore; e a chi ci tratta male rispondiamo con la stessa moneta”.
Se persino Dio seguisse la logica del “dare e ricevere”, non avremmo alcuna “speranza di salvezza”. In questo, le parole di Gesù “ci sfidano”: se gli uomini cercano sempre di “pareggiare i conti” e di “restare nell’ordinario dei ragionamenti utilitari”, Lui ci chiede di “aprirci allo straordinario di un amore gratuito” e a “vivere lo sbilanciamento dell’amore”.
Gesù non è un “bravo ragioniere”. “Se Dio non si fosse sbilanciato, noi non saremmo mai stati salvati. È stato lo sbilanciamento della Croce che ci ha salvato. Gesù non sarebbe venuto a cercarci mentre eravamo perduti e lontani, non ci avrebbe amato fino alla fine, non avrebbe abbracciato la croce per noi, che non meritavamo tutto questo e non potevamo dargli nulla in cambio”.
Seguo il tornaconto o la gratuità?
Come fa notare San Paolo, è già difficile trovare qualcuno “disposto a morire per un giusto”, eppure “mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,7-8). Dio, quindi, ha chiosato il Papa, ci ama “non perché siamo buoni o in grado di restituirgli qualcosa”; il suo è “un amore sempre in eccesso, sempre oltre i calcoli, sempre sproporzionato”.
Oggi, Dio ci chiede di vivere quello stesso amore “perché solo così lo testimonieremo davvero”. Il Signore chiede agli uomini di “uscire dalla logica del tornaconto e di non misurare l’amore sulla bilancia dei calcoli e delle convenienze”; invita a “non rispondere al male con il male, a osare nel bene, a rischiare nel dono, anche se riceveremo poco o nulla in cambio”.
È questo l’amore che “lentamente trasforma i conflitti, accorcia le distanze, supera le inimicizie e guarisce le ferite dell’odio”. Da qui l’esame di coscienza suggerito dal Pontefice: “io, nella mia vita, seguo la logica del tornaconto o quella della gratuità? L’amore straordinario di Cristo non è facile, ma è possibile, perché Lui stesso ci aiuta donandoci lo Spirito Spirito, il suo amore senza misura”.
Urge una carità “attenta e concreta”
Dopo la recita dell’Angelus, il Santo Padre ha detto: “L’amore di Gesù ci chiede di lasciarci toccare dalle situazioni di chi è provato”. Ha fatto quindi riferimento in particolare “alla Siria e alla Turchia, alle tantissime vittime del terremoto”, menzionando di nuovo i “drammi quotidiani del caro popolo ucraino e di tanti popoli che soffrono a causa della guerra o a motivo della povertà, della mancanza di libertà, delle devastazioni ambientali di tanti popoli”.
Il Papa ha quindi espresso vicinanza “alla popolazione neozelandese colpita negli ultimi giorni da un devastante ciclone. Fratelli e sorelle – ha concluso – non dimentichiamo chi soffre e facciamo in modo che la nostra carità sia attenta” e “concreta”.