Scioccante uscita della celebre attrice: va in televisione a promuovere l’aborto come se fosse una pratica da «buoni samaritani».
La sua performance confonde le acque chiamando «bene il male e male il bene».
Tutti la ricordano per aver interpretato Andy, la giovane rampante neolaureata che cerca di farsi strada tra gli squali del giornalismo di moda. Tra i quali svetta per perfidia la tirannica direttrice Miranda Priestl, interpretata da una Meryl Streep in stato di grazia.
Parliamo naturalmente de Il diavolo veste Prada, film di grande successo dell’ormai lontano 2006. Lei invece non può che essere Anne Hathaway. Ha fatto scalpore la sua ultima uscita televisiva negli States, martedì scorso a “The View”, dove tra le altre cose è stata chiamata a parlare dalla conduttrice Joy Behar del suo post su Instagram col quale il 30 giugno scorso la star aveva celebrato i sedici anni proprio de Il diavolo veste Prada.
L’inno alla «salute riproduttiva»
In quell’occasione la Hathaway – adesso 40enne e madre di due bambini – aveva notato come la giovani donne protagoniste del film avessero potuto costruirsi una carriera perché non erano rimaste intralciate da “seccanti” complicazioni come una gravidanza giovanile. «Sono colpita dal fatto che i giovani personaggi femminili in questo film abbiano costruito le loro vite e le loro carriere in un Paese che onorava il loro diritto a scegliere sulla loro salute riproduttiva».
Chiaro il riferimento alla storica sentenza della Corte Suprema che pochi giorni prima aveva rovesciato la sentenza «Roe vs. Wade» che nel 1973 aveva introdotto il diritto all’aborto negli Stati Uniti.
L’aborto come opera di misericordia?
Manco a dirlo, in televisione l’attrice (premio Oscar nel 2013) ha rincarato la dose innalzando un vero e proprio inno alla freedom of choice. Parlando del suo ruolo nel film, la stella del cinema ha sottolineato l’importanza di avere sempre sotto controllo il proprio «destino riproduttivo». Dopodiché è arrivata a dire che «aborto può essere un’altra parola per misericordia». E ancora: «Quando permetti di scegliere, permetti la flessibilità, che è quanto ci serve per essere umani».
«Com’è umana lei… » verrebbe da dire col ragionier Fantozzi! Le parole della Hathaway – decisamente più adatte a Crudelia che non al Buon Samaritano della parabola – sono state puntualmente contestate su Twitter dalla celebre attivista pro-life Lila Rose che ha trovato «ripugnante e delirante» l’idea che «si debba uccidere un bambino per ‘essere umani’». «L’ossessione delle nostre celebrità per l’aborto su richiesta – ha aggiunto – è il peggiore, il più crudele eccesso dell’egoismo autorizzato».
Nei tweet successivi Lila Rose centra perfettamente il punto: «Assassinare un bimbo malato in utero non è misericordioso. Il male può travestirsi da empatia. Non esiste una cosa come un omicidio “misericordioso”».
Come falsificare il bene
La falsificazione del bene. La soppressione di una vita umana come forma di altruismo. Un bel passo in avanti – sì, ma verso la menzogna – rispetto alla retorica dolente con cui gli attivisti anti-vita solitamente si adoperano per suscitare i brividini del cuore presentando l’aborto è come una scelta «straziante», «drammatica» o pur sempre una «decisione difficile». Con l’aborto “misericordioso” si fa un salto di qualità: abortire diventa virtuoso, appare come una pratica che nobilita l’uomo (Abtreibung macht frei l’ha già detto qualcuno?).
Non è la prima volta che la Hathaway si esprime a favore dell’aborto. Nel 2019 ad esempio aveva criticato la legge antiabortista dell’Alabama. E non è nemmeno la prima a definire l’aborto una forma di compassione e di amore. Lo aveva fatto già l’analista junghiana Ginette Paris, che aveva parlato di un «sacramento» dell’aborto invocando nuovi riti e nuove leggi capaci di restituire all’aborto la sua «dimensione sacra».
Ci sarebbero tante cose da dire. Inutile prendersela con chi evidentemente è stato irreggimentato fin dall’infanzia, tra corsi di educazione sessuale e quelli di «pianificazione famigliare», ottimi strumenti per togliere ogni senso di colpa.
Vera e falsa misericordia
Però qualche parola sulla falsa misericordia che esalta lo smembramento dei corpicini inermi dei bimbi vale la pena di spenderla. E non trovo parole migliori per farlo che quelle di un illustre connazionale dell’attrice. È, ancora una volta, il grande vescovo Fulton J, Sheen. Su YouTube c’è un suo fantastico video su come distinguere tra la vera e la falsa misericordia (cercatelo, ne vale la pena).
La compassione, spiega Fulton Sheen, è una gran bella cosa. Di più: è indispensabile. Provare compassione, o misericordia, è patire-con: un soffrire assieme all’altro. Il misericordioso sente il dolore delle ferite altrui come se fosse il proprio. È questo che lo spinge a cercare di alleggerire il peso di quelle ferite al prossimo.
Come dice il vescovo Sheen, la compassione «è una simpatia, una pietà, una capacità di essere feriti quando gli altri sono feriti e sentire la causa degli altri come la propria». Come quella del Buon Samaritano che provò compassione per quell’uomo aggredito e picchiato dai ladri mentre scendeva da Gerusalemme a Gerico.
Quel che precede la compassione
Ma da sola la compassione non basta.
Ecco, sottolinea Sheen, la differenza tra la vera e la falsa compassione sta nel fatto che l’autentica misericordia «implica sempre un ordine morale e cioè una distinzione tra giusto e sbagliato, tra l’uomo che è stato aggredito sulla strada e i ladri che lo hanno picchiato».
È il motivo per cui il profeta Isaia (5, 20) mette sull’avviso «coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro».
Nel caso che ci interessa, la distinzione da fare è quella tra il bimbo indifeso ucciso nel ventre materno e chi lo uccide con l’avallo della legge. Prendendo in prestito le famose parole di papa Francesco sull’aborto, c’è una bella differenza tra la (vera) misericordia del Buon Samaritano e quella (falsa) di un sicario affittato per risolvere un “problema”. Senza questa distinzione c’è solo la menzogna. Che tale resta anche se buca lo schermo grazie all’endorsement delle osannate stelle di Hollywood.