Al termine della catechesi, il Papa ha espresso “dolore” per il massacro avvenuto nel carcere di Manaus in Brasilia, dove un violento scontro tra bande rivali ha causato decine di morti. Questo l’appello di Francesco:
“Invito a pregare per i defunti, per i loro familiari, per tutti i detenuti di quel carcere e per quanti vi lavorano. E rinnovo l’appello perché gli istituti penitenziari siano luoghi di rieducazione e di reinserimento sociale, e le condizioni di vita dei detenuti siano degne di persone umane. Vi invito a pregare per questi detenuti morti e vivi, e anche per tutti i detenuti del mondo, perché le carceri siano per reinserire e non siano sovraffollate; siano posti di reinserimento. Preghiamo la Madonna, Madre dei detenuti: Ave o Maria, …”
Francesco chiede dunque maggiore reinserimento per i detenuti. Una questione che investe anche l’Italia. Alessandro Guarasci ha sentito don Raffaele Grimaldi, Ispettore dei cappellani:
R. – C’è sempre il grande dramma di come vivere questo reinserimento, per tanti motivi. All’interno del carcere ci si lavora: attraverso corsi per imparare un mestiere, attraverso il volontariato, attraverso noi cappellani… Cerchiamo veramente di aiutare i carcerati. Il grosso dramma per l’inserimento è quando escono fuori. Viviamo anche una situazione molto precaria di lavoro e già questo influisce negativamente sul pieno inserimento di un detenuto quando esce dal carcere. Ma soprattutto la nostra società dovrebbe avere un’attenzione particolare a coloro che hanno sbagliato: usare misericordia senza chiudere il cuore alle opportunità che si potrebbero dare.
D. – Lei in questo momento vede una situazione di sovraffollamento nelle carceri italiane? Questo era vero fino a un paio di anni fa, poi c’è stata in sostanza una deflazione: c’è un ritorno a una carcerazione “facile”?
R. – Certamente un detenuto che esce e che non trova lavoro e che non trova inserimento, più facilmente rischia di rientrare in carcere… C’è una situazione anche di fragilità umana, che vivono i carcerati quando escono.
D. – Ritiene che in Italia si percorra in modo serio la strada delle pene alternative? Sappiamo che se non si è in carcere, è più difficile una recidiva…
R. – Partiamo dal fatto che comunque le leggi ci sono. Il problema è attuarle, questo è tutto. I magistrati dovrebbero chiaramente dare più fiducia, puntare molto sulla responsabilità del detenuto, anche con rischi – questo è vero – ma sappiamo che il detenuto quando esce ha bisogno di essere accolto dalle comunità. Questo lo aiuta a non ricadere più negli stessi errori.
D. – Secondo lei, la figura del cappellano è valorizzata in modo adeguato nelle carceri?
R. – Certamente è un punto di riferimento sia per i detenuti, sia per la polizia penitenziaria, sia per il volontariato. Chiaramente, in questo ultimo periodo, un po’ per tante situazioni, la figura del sacerdote, del cappellano, viene messa in ombra. Dipende però anche da noi cappellani, da come lavoriamo all’interno, da come ci impegniamo, come ci rapportiamo con la Direzione, con i detenuti, con i volontari. Io penso che se siamo anche noi capaci di interagire positivamente con impegni forti, la figura del cappellano viene ben riconosciuta, all’interno della struttura penitenziaria.
fonte: radiovaticana