Lo scorso 11 maggio l’Arcigay di Bologna ha sancito con una mail lo sfratto dalla sede legale del movimento Lgbt nazionale di Arcilesbica. Il motivo di questa improvvisa decisione è ufficialmente dovuto alla scissione di quest’ultima associazione dall’Arci, ma sotto pare che ci sia la diatriba sull’utero in affitto tra le due associazioni in difesa dei diritti degli omosessuali. Lo scorso dicembre, infatti, la presidente neo eletta del movimento aveva espresso delle idee in controtendenza riguardo sia l’utero in affitto che il riconoscimento della prostituzione come lavoro.
In quella occasione Cristina Gramolini aveva espresso perplessità riguardo la pratica dell’utero in affitto, temendo che l’applicazione su larga scala di una simile pratica potesse sfociare nello sfruttamento del corpo della donna ed in quello della maternità. Proprio la contrarietà allo sfruttamento del corpo della donna era stato il motivo che aveva portato la Gramolini ad opporsi alla lotta per il riconoscimento della prostituzione come lavoro. Queste posizioni in controtendenza avevano convinto l’Arcilesbica a scindersi dall’Arci e divenire Lesbica Italiana.
Sfratto burocratico Arcilesbica, un pretesto per eliminare pensieri controcorrente?
In seguito allo sfratto, la presidente dell’associazione si è sfogata su Facebook pubblicando un immagine tesa ad indicare il sopruso subito: una bandiera arcobaleno macchiata di fango. Correlato alla foto, un commento allo sfratto subito dove viene fatto presente che l’incompatibilità burocratica della sede è venuta a galla proprio dopo i dissensi degli ultimi mesi su utero in affitto e prostituzione: “ArciLesbica non si è allineata alla richiesta di legalizzazione dell’utero in affitto, promuovendo invece l’accesso alle adozioni; abbiamo denunciato l’assurdità di rivendicare farmaci bloccanti della pubertà per i bambini e le bambine con comportamenti non conformi alle aspettative di genere, chiedendo invece di lasciare libera l’infanzia di esprimersi al di là degli stereotipi di genere; abbiamo criticato l’assistenza sessuale alle persone con disabilità, chiedendo per loro il pieno inserimento sociale e la non mercificazione dell’affettività; abbiamo respinto lo slogan Sex work is work, perché non normalizziamo l’uso sessuale delle donne”.
L’invettiva contro l’egemonia Lgbt continua con un’accusa di tradimento dei valori fondanti del movimento in difesa dei diritti degli omosessuali, un insulto a tutte le lotte affrontate in questi anni: “Siamo insomma colpevoli di avere posizioni autonome che scontentano il gotha arcobaleno, dunque per noi non ci deve essere posto al Cassero LGBT Center. Gli autoproclamati femministi del Cassero, presenzialisti festeggiatori di ogni 8 Marzo, sedicenti lottatori contro la violenza sulle donne, ci cacciano senza preavviso. Non si accorgono di tradire la bandiera rainbow e di scrivere una pagina di storia dell’intolleranza con una mail improvvida alla vigilia dei pride 2018”.
Luca Scapatello