Con la diffusione di internet sugli smartphone i banner pubblicitari sono diventati non solo fastidiosi e portatori, in alcuni casi, di malware in grado di bloccare un intero software e farvi perdere i dati salvati sul vostro dispositivo, ma anche delle esche per aderire a servizi in abbonamento non richiesti. Può succedere così che mentre cercate di tenervi informati su quello che capita nel mondo siate attirati da un articolo civetta o da una pubblicità e che cliccandoci sopra il vostro credito scompaia in un istante.
La medesima cosa è capitata ad un lettore di ‘Avvenire’, senza introdurci nei particolari descritti dall’utente vi esponiamo le sue perplessità poiché potrebbero essere le stesse di molti consumatori: l’autore della missiva spiega che subito dopo aver inavvertitamente attivato il servizio in abbonamento ha ricevuto un messaggio dal suo gestore telefonico (nel caso in specie la Tim, ma potrebbe essere qualsiasi altro) che gli proponeva, dato che il suo credito era in negativo, 5 euro di credito immediato che sarebbero stati saldati alla successiva ricarica con 1,5 euro di sovrattassa. L’autore del testo si chiede se tutto ciò sia legale e se le associazioni dei consumatori stanno facendo qualcosa a riguardo.
La risposta alla lettera è molto utile per tanto ve la riportiamo:
“Gentile abbonato, purtroppo non è il solo a essere incappato in questo tipo di disavventure digitali: riceviamo numerosissime segnalazioni di utenti letteralmente “raggirati” dal meccanismo dei banner con abbonamento nascosto dietro (o dentro) un clic. Codesti banner compaiono su diversi siti informativi, ai quali non sono però ascrivibili: sono in realtà proposte di “contenuti civetta” realizzati da società terze, spesso sub-sub-sub fornitrici dei servizi pubblicitari, cui però gli operatori telefonici, tutti, consentono di addebitare i costi dell’abbonamento ai propri clienti. L’Antitrust ha per altro già sanzionato le compagnie (il Codice del consumo prevede infatti che il cliente sia informato dell’offerta a pagamento prima di sottoscriverla) obbligandole almeno a rendere più visibili i “punti” in cui, cliccando, si attiva l’abbonamento. Ma non è bastato: le associazioni dei consumatori continuano a ricevere centinaia di segnalazioni di questo tipo, con banner sempre più sofisticati e in grado di ingannare l’utente. La prima cosa da fare, quando ci si imbatte in una simile “truffa”, è chiedere il cosiddetto “barring totale” (lo sbarramento verso servizi terzi a pagamento), chiamando il proprio operatore, nel suo caso Tim (119); la seconda, per avere un rimborso, è quella di rivolgersi nuovamente al proprio operatore attraverso il servizio clienti: ogni compagnia prevede dei tempi massimi entro i quali chiedere il rimborso (12 giorni per Tim). Se la richiesta non va a buon fine, suggeriscono le associazioni dei consumatori, ci si può rivolgere al Comitato regionale per le telecomunicazioni. In ogni caso – e in attesa di misure più stringenti da parte dell’Antitrust – il tutto si traduce in una gran perdita di tempo”.