Il Magistero dei papi del passato è sempre valido? E’ ancora attuale? Benedetto XVI, scrivendo di liturgia, fissò un principio teologico netto che vale ancor più per il sommo magistero della Chiesa: “Ciò che per le generazioni [cristiane] anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e dar loro il giusto posto” (Lettera ai Vescovi di tutto il mondo per presentare il motu proprio sull’uso della liturgia romana anteriore al 1970, 7 luglio 2007).
La Chiesa ha celebrato finora 21 Concili ecumenici, da Nicea (325) al Vaticano II (1962-1965). Sarebbe assurdo immaginare che ogni concilio ripeta, alla lettera, quello che è stato sancito al Concilio precedente. Ma sarebbe ancora più folle supporre che il magistero divenga evolutivo, e il secondo Concilio ecumenico, abolisca gli insegnamenti del primo, oppure che l’ultimo cancelli i documenti di tutti gli altri…
Il deposito della fede è oggettivo e universale, e la Rivelazione divina si è conclusa con la morte dell’ultimo apostolo, Giovanni. Ovviamente, le prime generazioni cristiane non avevano una fede esplicita e chiara nei dogmi dell’Immacolata Concezione di Maria (sancito nel 1854) e dell’Assunzione di Maria in cielo (proclamato nel 1950). Ma la fede cristiana è semper idem, e noi siamo cattolici (nel secolo XXI) come lo erano s. Francesco d’Assisi (XIII secolo) e s. Agostino (V secolo). E come lo saranno i nostri successori tra cento o mille anni.
Il bambino, l’adolescente e l’anziano sono la stessa persona, e la crescita oggettiva dell’uomo non cancella l’identità personale dell’individuo: dal concepimento alla morte c’è uno stesso DNA, uno stesso sangue e una stessa anima spirituale (infusa da Dio nel tempo, ma destinata all’eternità).
Così, chi volesse limitare la dottrina della fede all’ultimo discorso del Pontefice in ordine di tempo, avrebbe certamente una visione limitata e incompleta del cattolicesimo, in cui il presente è costantemente revocato dal futuro… che presto però diverrà passato! D’altra parte, uno che volesse seguire solo la cosiddetta Chiesa primitiva, apostolica e pre-costantiniana sarebbe involuto e in opposizione al legittimo progresso del sapere e ai tempi provvidenziali della grazia. Lutero e gli eretici in genere parlavano spesso di tornare alle origini come se esse fossero immacolate e il resto da buttare. Ma gli eretici condannati dalla Chiesa sono falsi maestri, e lo saranno sempre: almeno negli errori per cui la Chiesa li ha censurati.
In questo quadro ci piace ricordare un grandissimo papa dell’Ottocento il quale, benché beatificato da Giovanni Paolo II nel 2000, continua ancora ad essere calunniato e misconosciuto, anche all’interno della cristianità: Pio IX (1846-1878). Citare alcuni dei suoi insegnamenti salienti, a 140 anni dalla morte, ci pare utilissimo, proprio nel senso ricordato sopra da Benedetto XVI: nel cattolicesimo o c’è continuità o c’è morte!
E ciò che era grande per i cristiani di un tempo, di un qualunque momento della storia, deve esserlo anche per noi. Possiamo essere nani che guardano più lontano dei giganti, ma a condizione che restiamo sulle loro solide spalle.
L’8 dicembre del 1864, il beato Pio IX promulgò due dei suoi documenti più rilevanti, ovvero l’enciclica Quanta cura (Denz. 2890-2896) dedicata al nefasto liberalismo, e il celebre Sillabo (Denz. 2901-2980), cioè il “Sommario dei principali errori dell’età nostra che sono notati nelle Allocuzioni concistoriali, Encicliche ed altre Lettere Apostoliche”. I due testi, oltre che sul web si trovano in una bella veste grafica nelle migliori librerie cattoliche (cf. Pio IX, Sillabo, a cura di Gianni Vannoni, edizioni Cantagalli, Siena)
E’ difficile sminuire la portata dottrinale e in un certo senso profetica dei due documenti. Il Sillabo è rimasto nella storia contemporanea come un monumento di sapienza pontificia, una pietra miliare nel cammino della Chiesa docente e un punto fermo d’orientamento per tutti i veri cattolici del XIX e del XX secolo. Secondo noi, nella temperie relativistica del XXI secolo, servirebbe al più presto un nuovo Sillabo, contenente i nuovi errori dottrinali serpeggianti o incalzanti nella società civile e soprattutto nella comunità ecclesiale.
Quando il grande Pio IX emanò i due documenti era già ampiamente temprato dalle fatiche dovute alla lotta incessante che anche allora minacciava la s. Chiesa di Dio. Da 10 anni aveva proclamato la definizione dell’Immacolata Concezione di Maria (8 dicembre 1854) e da 19 anni era Pastore Supremo della Chiesa (1846). Mancava al completamento del suo magnifico magistero soltanto il provvidenziale Concilio Vaticano I (1869-70), in cui furono sanciti i salutari dogmi del Primato di giurisdizione del Romano Pontefice e della sua infallibilità in materia di fede e di morale (ex cathedra).
L’enciclica Quanta cura è forse le più netta e solenne condanna del liberalismo cattolico, in seguito detto soprattutto cattolicesimo liberale. I cattolici dell’Ottocento, come noto, davanti agli assalti della modernità politica e ideologica, si divisero presto in due tronconi principali: i papalini, detti anche intransigenti o cattolici integrali, e i liberali o moderati, che volevano transigere con il nuovo indirizzo laico della società e della cultura moderna. I cattolici liberali vengono nettamente sconfessati dall’Enciclica di Pio IX, laddove essa insegna che “ai tempi nostri si trovano non pochi, che applicando allo Stato l’empio ed assurdo principio del naturalismo, osano insegnare ‘che la migliore costituzione dello Stato ed il progresso civile esigono che la società umana sia costituita e governata senza nessun riguardo alla religione, come se non esistesse [laicismo marxista], od almeno senza fare nessuna differenza tra la vera e le false religioni [laicismo liberale]’”.
Inoltre, sempre Pio IX, citava per rafforzare il discorso un brano della Mirari vos di Gregorio XVI nel punto in cui essa dichiarava delirio l’opinione secondo cui “la libertà di coscienza e dei culti essere diritto proprio di ciascun uomo, che si deve con legge proclamare e sostenere in ogni società ben costituita”. Infondo si condanna la laicità politica, nella specie dell’indifferentismo religioso e morale. Faccio notare che se i Pontefici successivi hanno raramente usato questo specifico linguaggio, essi hanno però ribadito il concetto che la legge civile dello Stato – di qualunque Stato – deve essere in tutto conforme alla legge morale. Se poi l’integra legge morale è appannaggio del solo cattolicesimo, non esiste diritto civile di opporsi alla morale insegnata dal Vangelo (cf. le somme encicliche di Giovanni Paolo II, Veritatis splendor e Evangelium vitae).
Vediamo poi, brevemente, il contenuto del Sillabo. Esso consta di 80 proposizioni erronee (riprese da ben 32 distinti documenti: Encicliche, Allocuzioni e Lettere), divise in 10 sezioni distinte. Queste sezioni comprendono temi diversi e variegati come il panteismo, il razionalismo, l’indifferentismo, il socialismo e il comunismo (appena accennati), gli errori sulla Chiesa e i suoi diritti (parte molto articolata, con la proscrizioni di 20 sentenze erronee), gli errori sulla società civile in sé e nel rapporto con la Chiesa (17 errori), gli errori in materia di etica, gli errori sul matrimonio, gli errori intorno al principato civile del Romano Pontefice, e da ultimo gli errori del liberalismo.
Molti di questi errori risentono evidentemente dell’epoca in cui furono scritti e del contesto culturale e politico coevo; ma lo spirito che anima il documento è sempre attuale ed è innegabile che molti di questi errori siano gli stessi anche oggi, senza alcuna variazione di fondo, se non nella formulazione linguistica.
Qualunque verità richiede il rifiuto del suo opposto. Volere il bene, senza opporsi al male, significa infondo non volerlo veramente.
Antonio Fiori