Pochi ricordano che tra i 16 documenti promulgati dal Concilio ecumenico Vaticano II (1962-1965), c’è un Decreto sulla formazione sacerdotale, chiamato Optatam totius. Il testo, composto da 22 brevi paragrafi, è tanto interessante quanto misconosciuto. Oggi poi, se fosse riletto e recepito dai seminaristi, dai formatori, dai teologi e dai sacerdoti del mondo intero avrebbe un significativo ruolo di correzione dottrinale e di notevole purificazione intellettuale.
Non voglio entrare, in questa circostanza, nell’annosa diatriba sulle varie possibili interpretazioni del Concilio: alla luce della Tradizione, alla luce del suo presunto spirito, alla luce del Magistero precedente e/o successivo, alla luce del contesto storico-filosofico della contemporaneità, alla luce della infallibile coscienza del popolo fedele, alla luce dei segni dei tempi, etc. etc.
Di fatto, tutti coloro che amano il Signore dovrebbero studiare con attenzione e discernimento le lunghe pagine dei testi conciliari, tenendo sulla scrivania sia il Denzinger, che il definitivo e inabrogabile Catechismo della Chiesa cattolica (1997).
Un autore recente mette alcuni importanti paletti sulla comprensione, la legittimità e i limiti dell’ultima Assise ecumenica della cattolicità (cf. don Enrico Finotti, La dottrina del Concilio. Per una retta interpretazione del Vaticano II, Casa editrice Leonardo da Vinci, Roma, 2018).
In questo articolo vorrei mostrare ai lettori la grande differenza tra gli insegnamenti di un Decreto conciliare misconosciuto e la comune prassi pastorale impostasi poi.
Il proemio del testo fa riferimento alla “importanza somma della formazione sacerdotale (…) necessaria a tutti i sacerdoti del clero secolare e regolare e di ogni rito”. Si può dire che il decadimento della formazione teologica, dottrinale e spirituale degli ultimi anni, notato più di recente da Giovanni Paolo II in Fides et ratio (n. 61-62), è iniziato dal misconoscimento di questo passaggio.
Al n. 2 del Decreto si parla del “dovere di dare incremento alle vocazioni sacerdotali”, quale compito di “tutta la comunità cristiana”. E anche qui si registra una grave mancanza. In numerosi diocesi, e in mille centri culturali cristiani, la chiamata al sacerdozio e la nobile vocazione divina, è stata mutilata e messa da parte. I risultati in termini di rapporto tra i battezzati e i sacerdoti sono tristemente noti, specie in Europa e in Occidente. Esistono diocesi che da decenni non registrano alcun novello sacerdote: il deserto avanza implacabile! Ma il Signore continua a chiamare…
“Tutti i sacerdoti dimostrino il loro zelo apostolico massimamente nel favorire le vocazioni” (n. 2). Al contrario, numerosi pastori e prelati, hanno messo un gran zelo, in nome della riscoperta del laicato e della consacrazione battesimale, nello sfavorire le vocazioni e nel disprezzare il celibato volontario. Fatto innegabile.
Il testo aggiunge: “Tutti i sacerdoti considerino il Seminario come il cuore della diocesi e ad esso volentieri diano il proprio aiuto” (n. 5). Solo che ora, mezzo secolo dopo queste ispirate parole, un gran numero di diocesi, in Italia in Europa e nel mondo, non ne ha più di seminari aperti e funzionanti.
La Optatam totius desidera che i seminaristi “vengano educati alla obbedienza sacerdotale, ad un tenore di vita povera, allo spirito di abnegazione, in modo da abituarsi a vivere in conformità con Cristo crocifisso e a rinunziare prontamente anche alle cose per sé lecite, ma non convenienti” (n. 9). Certi passaggi, come questo, fanno piangere tanto è divenuto abissale il distacco tra la lettera e la realtà.
Un punto dottrinale forte, non solo ignorato ma persino ribaltato dalla pseudo-teologia egemone, tratta del rapporto tra il matrimonio e il celibato. Il Decreto insegna luminosamente così: “Gli alunni [dei seminari cattolici] abbiano una conveniente conoscenza dei doveri e della dignità del matrimonio cristiano che rappresenta l’unione di Cristo con la Chiesa (cfr. Ef 5,32 ss.); ma sappiano comprendere la superiorità della verginità consacrata a Cristo” (n. 10, corsivo mio). In nota, il documento cita la Sacra Virginitas di Pio XII (1954). Che dire? In questo caso specifico c’è stato non una censura dell’insegnamento, ma un ribaltamento. I teologi e i presuli e gli episcopi si sono messi quasi concordi a dire così: “alla luce del Concilio, non esiste più alcuna superiorità tra verginità e matrimonio, ma sono vocazioni assolutamente identiche”. Ma… di quale Concilio parlavano?? In ogni caso, l’Angelico Pio XII, nel documento citato dal Concilio afferma così: “Vi sono, però, oggi alcuni che, allontanandosi in questa materia dal retto sentiero, esaltano tanto il matrimonio da anteporlo alla verginità; essi disprezzano la castità consacrata a Dio e il celibato ecclesiastico. Per questo crediamo dovere del Nostro apostolico ufficio proclamare e difendere, al presente in modo speciale, l’eccellenza del dono della verginità, per difendere questa verità cattolica contro tali errori” (introduzione).
La Optatam totius dà anche consigli precisi ai futuri sacerdoti: “Siano avvertiti circa i pericoli ai quali, particolarmente nella società di oggi, è esposta la loro castità” (n. 10, corsivo mio). Se la società di oggi espone il clero e i cattolici tutti a tentazioni contrarie alla castità, ciò vuol dire 1) che la castità è un bene e 2) che la società di oggi non è affatto migliore di quella di ieri. Ma nella predicazione e nella teologia cattolica contemporanea se il punto 1 si è eclissato nel nulla, il contrario del 2 è ripetuto come fosse un dogma (o un mantra). E guai a chi solleva dei dubbi!
Gli studenti dei seminari e dei collegi cattolici “siano formati alla fortezza d’animo” ed anche a tenere in conto “il rispetto costante della giustizia, la fedeltà alla parola data, la gentilezza del tratto, la discrezione e la carità nel conversare” (n. 11). No comment…
Abbiamo scovato perfino un passo, drasticamente censurato poi, che riguarda il rapporto tra i cattolici e le altre religioni. Secondo la Optatam totius, i futuri sacerdoti, “Vengano anche introdotti alla conoscenza delle altre religioni più diffuse nelle singole regioni [del mondo], affinché meglio riconoscano ciò che, per disposizione di Dio, vi è in esse di buono e di vero, e imparino a confutarne gli errori” (n. 16, corsivo mio).
Conoscete un libro di teologia, un corso universitario per chierici, una disposizione ecclesiale e canonica che inciti i sacerdoti e i cattolici tutti a “confutare gli errori” delle altre religioni?
Sono nati però, e questa è una grande consolazione, proprio nei decenni postconciliari una serie di istituti e di famiglie religiose, varie riviste di teologia e blog di apologetica, ottime case editrici ed emittenti radiofoniche che, snobbate dal pensiero dominante e dall’ecclesiasticamente corretto, hanno messo in pratica i luminosi insegnamenti della Optatam totius.
In Italia, coraggiose case editrici come la Cantagalli di Siena, la Fede & Cultura di Verona e la Leonardo da Vinci di Roma, hanno contribuito e stanno contribuendo alla necessaria confutazione degli errori, alla salvezza degli erranti e al trionfo della verità.
Fabrizio Cannone