Oggi, purtroppo, la figura del demonio sembra essere totalmente dimenticata. Persino nella Chiesa, c’è chi pensa che si tratti di superstizione.
Questo però è un grave rischio da cui ha messo in guardia il domenicano François-Marie Dermine, domenicano canadese che vive ad Ancona, docente di teologia fondamentale alla Facoltà teologica dell’Emilia Romagna, esorcista e presidente nazionale del Gris, Gruppo di ricerca e informazione socio-religiosa. Dermine ha scritto un libro intitolato “Ragioniamo sul demonio tra superstizione, mito e realtà” proprio per mettere il dito in una delle piaghe più drammatiche del nostro tempo.
Nella nostra società, purtroppo, il demonio è sempre più presente. Lo vediamo nell’aumento di sette, santoni e opere demoniache di questo calibro, ma anche nella semplice cronaca nera che ogni giorno finisce per portare l’orrore nelle case di ciascuno. Omicidi efferati in famiglia e ai danni dei più deboli, infatti, non possono che essere riconducibili direttamente a lui, al principe degli inferi.
Tuttavia, in corrispondenza con questi drammatici dati di realtà, anche nella Chiesa si fa largo quel pensiero gnostico e massonico per cui in fondo il diavolo sarebbe soltanto una figura “metaforica”, e non una persona spirituale che tenta gli uomini e le donne costantemente, alle prese con i fatti del mondo e della vita.
Perché l’esistenza del demonio è infatti una di quelle verità di fede che costantemente di prova in tutti i modi a “normalizzare”, generando però nei credenti una forte inquietudine. Per la semplice ragione che, parafrasando un celebre adagio, chi non crede nel diavolo, in realtà, non crede in Dio.
Per queste ragioni padre Dermine cerca, con il suo libro, di distinguere chiaramente che cosa è superstizione e che cosa è invece una triste realtà. “Lo sguardo di Satana è ostile ma punta intimorito verso l’alto, da creatura perdente“, dice infatti l’esorcista. Basta guardare al radicamento della figura del demonio nelle Sacre Scritture, di cui si parla ampiamente e si spiega con ampiezza che non è affatto un “pensiero”, una idea.
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In tutto il testo sacro, dalla Genesi all’Apocalisse, la presenza del demonio è fondamentale per comprendere l’azione di Dio. Sono in seguito molteplici i riferimenti al demonio nel Nuovo Testamento, dove la rivelazione di Cristo diventa anche svelamento di Satana e dell’iniquità del male che caratterizza l’uomo a partire dal suo peccato originale.
In tutto ciò il magistero cristiano non cessa mai di ribadire questo aspetto dell’annuncio di salvezza fatto dal Signore, ovvero la lotta contro il male. Solo nel Concilio Vaticano II, per fare un esempio, il demonio viene nominato 18 volte. Nella Gaudium et spes, il documento finale del Concilio, si dice: “Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall’origine del mondo, destinata a durare, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno”.
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Paolo VI, nel 1972, usò parole di fuoco contro il demonio spiegando che questo “esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerlo come esistente”. Per arrivare fino a oggi, dove Papa Francesco, uno dei Pontefici che fa più riferimento all’azione del diavolo nel mondo, ne parla continuamente, al punto da essere un tratto caratteristico della sua predicazione.
Nel libro di padre Dermine si risponde anche alle molte domanda che ci si pone su questo tema. Questioni come i poteri del demonio, la sua capacità di leggere i cuori o addirittura di compiere “miracoli”, dell’abominio di magia e malefici, che vengono sviscerate alla luce della scuola domenicana e della grande tradizione cristiana, ad esempio nelle parole di San Tommaso D’Aquino.
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“Il nostro modesto ragionare”, spiega padre Dermine, tratteggia “un soggetto personale davvero esistente, potente, inquietante, astuto, che osserva attentamente l’uomo per trascinarlo nel suo regno di malvagità e di orgogliosa solitudine”. Un soggetto, tuttavia, che “non merita di essere assecondato e, ancor meno, celebrato”. Perché “il suo sguardo, per quanto ostile, punta intimorito verso l’alto e lascia trasparire la consapevolezza della creatura decaduta, ormai perdente e vinta sapendo che gli resta poco tempo (Ap 12,12)”.
Giovanni Bernardi
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