La denuncia della donna che ha visto il suo nome sulla croce del feto morto, abortito qualche mese prima, ha fatto il giro di tutti i quotidiani, arrivando al Garante della Privacy.
Il cimitero del Flaminio a Roma accoglie le salme di tutti i “bambini non voluti” dalle loro madri. Ma le madri effettivamente non sanno di questa sepoltura?
La notizia ha fatto, in poco tempo, il giro di tutti i quotidiani, suscitando clamore, dibattiti e pensieri di ogni tipo. Può, o meno, il nome di una madre che ha abortito il suo futuro figlio, esser posizionato sulla croce dove è seppellito quel bambino mai nato? Può, anche se la madre non si sarebbe mai occupata della sepoltura, il nome di qualcuno che l’ha rifiutato esser per sempre su quella croce?
Al cimitero del Flaminio a Roma c’è una sezione dedicata proprio ai tanti bambini mai nati: una serie di croci con dei nomi scritti a pennarello, indicanti un numero di registro e quello delle loro “non mamme”. Si tratta, tecnicamente, di “feti”, frutto di aborti spontanei o terapeutici, comunque fra la 20° e la 28° settimana, quindi oltre i 90 giorni contemplati dalla legge 194/78 per l’aborto volontario ma previsti per ragioni sanitarie.
I nomi messi e scritti a pennarello sono quelli delle loro mamme che, all’indomani dell’intervento abortivo, hanno firmato un modulo dove chiedono all’ospedale di occuparsi dello smaltimento del feto secondo le normative vigenti. Ma è da precisare, però, che nessuna di loro era davvero cosciente del fatto che quella liberatoria avrebbe portato alla sepoltura del corpicino, esattamente come se si trattasse di un individuo nato e poi defunto.
Sulla vicenda è intervenuto, anche, il Garante della Privacy: “Bisogna per fare luce su quanto accaduto alla donna che ha denunciato il suo caso a Roma, e sulla conformità dei comportamenti, adottati dai soggetti pubblici coinvolti, con la disciplina in materia di privacy […]
Le normative vigenti, infatti, prevedono che i feti morti il 5° e il 7° mese vengano seppelliti – salvo diverse disposizioni – proprio come fossero normali defunti […] la sepoltura dei prodotti abortivi di presunta età di gestazione dalle 20 alle 28 settimane complete e dei feti che abbiano presumibilmente compiuto 28 settimane di età intrauterina e che all’ufficiale di stato civile non siano stati dichiarati come nati morti”.
E per quel che riguarda il nome delle madri sulle croci? “I servizi cimiteriali a Roma, tuttavia, non dovrebbero essere in grado di conoscere le generalità di un rifiuto ospedaliero o prodotto abortivo, se non comunicato dall’ospedale” – continua il Garante della Privacy.
Dal canto suo, l’ospedale “San Camillo”, dove la donna ha abortito ed ha denunciato la sua vicenda, fa sapere che “le attività relative al trasporto, alla gestione e seppellimento del feto sono di completa ed esclusiva competenza di Ama”. E’ questa che si occupa dei servizi cimiteriali della Capitale.
Ma l’Ama ribatte: “La sepoltura è effettuata su specifico input dell’ospedale. L’epigrafe deve in ogni caso riportare alcune indicazioni basilari per individuare la sepoltura da parte di chi ne conosce l’esistenza e la cerca”.
Nonostante tutti questi cavilli burocratici e tutti questi passaggi o meno di consegne, una cosa fondamentale che è stata dimenticata: la sacralità della vita. Un bambino non nato è una vita rifiutata e, come tale, ha il diritto di esser ricordata e rispettata. Non dobbiamo dimenticare che, a Roma, vi è il “Giardino degli Angeli”. Il cimitero Laurentino, dove si seppelliscono proprio i piccoli mai nati e che, di recente, è stato anche visitato da Papa Francesco.
Qui si prega e si seppelliscono tutti i feti mai nati, senza clamore o polemica alcuna.
La sacralità della vita ed il suo rispetto: questo sempre, dall’inizio sino alla fine. Forse è quello che è mancato in questa triste vicenda.
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Fonte: ilfattoquotidiano.it
ROSALIA GIGLIANO
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