La Beata Chiara Gambacorti fu un esempio di tenacia costante nell’inseguire il suo desiderio più grande, e non bastarono tutte le potenze del mondo per fermarla.
Fu un esempio sfolgorante del temperamento cristiano che si nascondeva nei cuori dei grandi personaggi della fede cristiana del tardo Medioevo, che si conciliava perfettamente con il suo essere giovane fanciulla destinata ad alti tenori di vita, a causa del suo rango sociale. Chiara discendeva infatti dalla celebre famiglia Gambacorta, di primo piano nella vita politica della Repubblica Marinara di Pisa nel mezzo di un trecento duramente segnato da guerre e stragi.
Tora, nonostante crebbe nel palazzo paterno, coltivò sempre in cuore la vocazione al donarsi completamente al Signore, e fin da piccola si esercitava in maniera segreta nella penitenza, nella preghiera e nel digiuno. Prostrandosi davanti al Crocifisso, da sola, in nua occasione pronunciò: “Sapete bene, o Signore, che desidero soltanto Voi!”.
A dodici anni, tuttavia, risponde alla volontà del padre e va a vivere a casa del suo sposo, ma nel suo cuore non aveva mai abbandonato la sua vera vocazione. Infatti continua a soccorrere i poveri con tutti i beni di cui dispone, tanto che la suocera cominciò a preoccuparsi della sua liberalità estrema. Nel mentre, lei frequenta un gruppo di donne che vivono in comune nella preghiera e nella carità, si offre per servizio a malati senza speranze e non ha paura di chinarsi sulle loro piaghe sofferenti.
Cade malata mentre il marito è lontano da casa, e lì Tora sente sempre più forte la chiamata di Dio, e in suo aiuto arriva anche Caterina Benincasa, che la incoraggia a rivendicare la sua libertà rispondendo all’amore dello Sposo divino, ovvero a rinunciare al mondo e scegliere lo stato religioso. Lei non perse tempo e a quindici anni si dedicò all’inseguimento della perfezione cristiana.
Distribuisce ai poveri tutti i suoi ricchi vestiti, i suoi gioielli, si taglia i capelli, si chiude nel silenzio e nella preghiera, sopporta i rimproveri della madre e delle cognate, nel mentre prende accordi con le Clarisse del monastero di S. Martino e vi entra, prendendo insieme all’abito francescano il nome di Chiara. Il fratello Andrea ci si reca con una schiera armata per prelevarla, e viene a lui consegnata calandola dal muro, per evitare che venisse violata la clausura.
Tornata nel palazzo del padre viene rinchiusa in una stanza, come fosse una cella, priva di tutto, spesso anche del cibo. Lei continuò però a stare in compagnia del Signore. La sua grande pena era l’impossibilità di confessarsi, ma una della sue cognate, di nascosto, la condusse a Messa dai Frati predicatori. Comprese che la sua chiamata era ad entrare nell’Ordine di San Domenico.
Un santo prelato convince i genitori a desistere dalla loro persecuzione, e viene fatta entrare fra le Domenicane del monastero di Santa Croce. Ottiene persino dal padre la costruzione di un nuovo monastero intitolato a San Domenico. La sua decisione, a vent’anni, è proverbiale, ed è quella di adeguare la sua vita ai rigori dell’antica disciplina monastica seguendo i canoni fondamentali della vita domenicana.
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Vale a dire preghiera, studio, silenzio, penitenza, contemplazione. Mantiene diverse corrispondenze con persone celebri del suo tempo, ma è imperterrita nell’invitare tutti a una vita devota e alle opere di bene, con semplicità, equilibrio e schiettezza, mentre lei si dedica alla carità incondizionata dei più sofferenti. La carità più grande la ebbe quando perdonò coloro che uccisero, per rivalità politica, suo padre e i suoi fratelli.
Giovanni Bernardi
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