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Clelia Merloni: beatificata per la guarigione di un medico

Suor Clelia Merloni, definita l’Apostola dell’Amore (1861-1930, Forlì), beatificata il 3 novembre 2018, è una di quelle persone che hanno seguito le orme di Cristo e di cui pochi, ancora, hanno sentito parlare.
Il suo cognome ci rievoca ben altre circostanze ed, in effetti, lei era proprio la figlia nel noto industriale, del signor Indesit.

Anche se la famiglia immaginava per lei una vita tra lussi e sfarzi, Clelia ebbe la vocazione a farsi Suora.
Entrò nella Congregazione delle Figlie di Santa Maria della Provvidenza a Como, dove si contrasse la tubercolosi in una forma molto grave tant’è che il medico che si occupava di lei le aveva dato ormai pochi mesi di vita.

Suor Clelia pregò incessantemente i SS. Cuori di Gesù e Maria chiedendo la grazia di una guarigione, per molti ormai impossibile, per poter dedicare la sua vita alla fondazione di un’opera in onore del Sacro Cuore di Gesù. In una settimana le sue parole furono accolte ed il miracolo si compì Madre Clelia guarì dalla tubercolosi.

Suor Clelia Merloni e le Suore Consacrate al Sacro Cuore

In virtù della grazia ricevuta, diede seguito alla sua promessa solenne e istituì le Suore Consacrate al Sacro Cuore di Gesù e, per tutta la vita, si dedicò alla conversione degli atei e alle necessità degli ultimi e degli abbandonati della società. “Noi Apostole non dobbiamo avere altro di mira che la gloria del Cuore di Gesù” scriveva la fondatrice. Un carisma complesso che vede la sua genesi proprio dal cuore lacerato di Gesù crocifisso in remissione dei peccati del mondo.

Clelia giunse a Viareggio, in seguito ad un sogno che le indicava quella città (a lei ignota), per la sua missione. Qui riuscì ad istituire scuole, orfanotrofi e case per ospitare gli anziani.
E questo anche grazie al contributo economico del ricco padre.
Le Apostole del Sacro Cuore di Gesù avevano -ed hanno- lo scopo di accogliere gli altri, vivere in comunione fraterna, testimoniare la povertà; portare avanti l’azione pastorale per la conversione/formazione dei laici e di coloro che hanno dimenticato Dio.

Ma Suor Clelia Merloni aveva anche uno scopo personale: convertire suo padre, ateo e massone.

Suor Clelia Merloni riuscì a riportare il padre Massone a Cristo

Suor Clelia Merloni stava riuscendo nel suo intendo, insieme alla sue Consorelle, e, oltre a salvare la vita di tante persone indigenti, ottenne anche che il padre abbandonasse il principe di questo mondo per consacrarsi al Signore.
Purtroppo, l’incontro con un sacerdote disonesto minò fortemente la sua opera e ciò la costrinse anche a lasciare Viareggio.

Da li arrivò a Piacenza, con la sua Congregazione, e Monsignor Giovanni Battista Scalabrini, Vescovo della città, inviò le Apostole nelle Missioni, in America, dove risiedevano tanti migranti italiani.
Da oggi, soprattutto a Forlì, come nella altre città che Suor Clelia toccò con la sua spiritualità e le sue opere benefiche, si gioirà per la tanto attesa Beatificazione, permessa grazie al riconoscimento di un miracolo, avvenuto per sua intercessione: la guarigione di un medico brasiliano da una malattia incurabile.

Il Miracolo – la Beatificazione

La causa di beatificazione di Suor Clelia è partita da un miracolo avvenuto per sua intercessione nel marzo del 1951. Un medico brasiliamo Pedro Angelo de Oliveira Filho fu repentinamente colto da una grave forma di paralisi progressiva agli arti, la sindrome di Landry o di Guillain-Barré. In poche decine di giorno la sua situazione precipitò lo stato paresi portò gravi insuffcienze respiratorie e di deglutizione. I medici dell’Ospedale Santa Casa de Misericordia di Ribeirão Preto non sapevano più cosa fare e, prevedendo l’imminente dipartita del paziente avvisarono la famiglia di prepararsi a quella che forse sarebbe stata la sua ultima notte. Angelina Oliva la moglie di Pedro, andò da Suor Adelina Alves Barbosa per avere preghiere e questa le consegnò la novena a Madre Clelia, con un’immagine della suora ed frammento del velo che Clelia aveva indossato.

Suor Adelina andò dal malato e, con grande fatica gli fece bere un pochino di acqua da un bicchiere d’acqua dove aveva immerso la piccola reliquia. Pedro era gravissimo. Ma qualcosa stava accadendo. Pedro fino a quel momento perdeva saliva non deglutiva ma dopo quel sorso d’acqua la saliva si fermò. Lentamente riuscì a bere prima acqua, poi latte, poi una passata. Nel giro di neanche 20 giorni il paziente si alzò dal letto e riprese a camminare normalmente. Il 6 maggio 1951 Pedro Angelo de Oliveira Filho fu dimesso dall’ospedale perché completamente guarito in modo scientificamente inspiegabile. Il miracolo si era compiuto.

Antonella Sanicanti

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