Il Beato Antonio Neyrot fu segnato fin da giovane dall’impazienza missionaria, che lo portò fino al ripensamento della triste decisione, che gli costò molto cara.
Nacque in Piemonte anche se le sue origini non sono del tutto chiare. Le sue prime gesta rese pubbliche risalgono al periodo in cui venne accolto nel convento dei Domenicani a Firenze, appartenente alla famiglia dei Silvestrini, fondati nel duecento da san Silvestro Guzzolini, e ora affidato ai Domenicani, che l’hanno fatto rimettere a nuovo grazie al sovrano fiorentino, senza corona, Cosimo de’ Medici il Vecchio.
In quell’epoca frate Giovanni da Fiesole, che il mondo conoscerà come Beato Angelico, era impegnato nell’affrescarlo. Il Priore della comunità era invece Antonino Pierozzi, che dopo poco tempo diventerà arcivescovo di Firenze. Neyrot, originario di Rivoli, è uno degli ultimi giovani seguiti dal futuro governatore della diocesi, e fu lui che lo chiamò agli ordini sacri.
Tra le lezioni più importanti che gli impartì, gli spiegò che occorreva non avere fretta e al contrario dedicarsi molto allo studio, in particolare grazie anche alla molta preghiera. Ciò che però mancava al giovane era la pazienza, caratteristica che lo portò a vivere male il suo studio. Fin da subito si considerava preparato e voleva essere chiamato in prima linea, per questo chiede di essere mandato in Sicilia.
I superiori gli negano questa possibilità, e lui si appella a Roma. Quest’ultima si pronunciò a suo favore. Così arriva finalmente in Sicilia. Ma la sua impazienza missionaria lo faceva guardare non tanto al sud Italia ma direttamente all’Africa. Dove ci arriva per davvero, ma come schiavo.
In quell’epoca Tunisi, dove sbarcò, era la capitale di un vasto impero, quello degli Almohadi, uno stato autonomo solido legato da saldi rapporti commerciali con i Paesi mediterranei. Padre Neyrot arrivò in quel Paese con l’obiettivo di evangelizzarlo, e quella terra diventa il primo teatro dei suoi fallimenti. A quel punto, il predicatore tradisce i suoi voti. Butta l’abito domenicano, rinnega la fede, prende moglie, diventa musulmano.
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Ma quando a Firenze, , nel maggio 1459, morì il suo maestro, il vescovo Antonino, la notizia lo coglie di sorpresa. Qualcuno sostiene persino che il vescovo gli apparve in sogno dopo la morte. In ogni caso, sarà lo spartiacque che lo fece avviare verso il ritorno, rapido, netto, senza tentennamenti.
Ritrova così la fede cristiana e dal primo secondo la proclama pubblicamente davanti all’emiro e con addosso l’abito di domenicano. Un gesto che gli comporterà la condanna a morte. La pena gli verrà inflitta a Tunisi, con la lapidazione, nella feria quinta in Coena Domini, ossia il Giovedì santo, del 1460.
Giovanni Bernardi
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