Oggi 4 marzo: Beato Daniele Dajani, la sua fede contro la tirannia comunista

Il Beato Daniel Dajani rese onore al Signore Gesù fino all’ultimo momento, di fronte all’iniquità che imperversava e che non risparmiò questi martiri della fede. 

 Beato Daniele Dajani
Il Beato Daniele Dajani – photo web source

Entrò nella Compagnia di Gesù che aveva solo vent’anni, dopo essere stato allievo del Seminario di Scutari dall’adolescenza. Si dedicò all’insegnamento in Seminario e all’istruzione religiosa degli abitanti dei paesi in montagna. In quegli l’anni l’Albania viveva però la drammaticità della Seconda guerra mondiale e dell’occupazione dei tedeschi.

Il dramma dell’Albania anche alla fine della guerra

Quando però alla fine del 1944 le truppe tedesche si ritirarono, chi sperava che il male se ne fosse andato per sempre si sbagliava. Perché arrivò il comunismo. Subentrarono al potere dei tedeschi i partigiani comunisti comandati da EnverHoxha. Questi misero fin da subito in atto una forte campagna di discredito verso i cattolici.

Le vittime che subirono più soprusi furono i vescovi, i francescani e i Gesuiti, questi ultimi colpevoli di volere formare i giovani alla fede. Padre Daniel venne nominato Rettore del Seminario di Scutari nel settembre 1945, grazie anche alla sua grande fermezza particolarmente lodata dagli studenti.

L’arresto del sacerdote che non si fece mai piegare

Il 31 dicembre 1945 arrivò l’arresto da parte della polizia del regime comunista albanese, insieme al confratello padre Giovanni Fausti. Le violenze che subirono furono molto dure. Di fronte alle torture, lui non perse mai la fede né tantomeno la calma. Fu condannato a morte in seguito a un processo-farsa. Con lui, il confratello padre Giovanni Fausti, il francescano GjonShllaku, il seminarista Mark Çuni e i laici GjeloshLulashi eQerimSadiku.

Padre Daniel non si fece mai piegare. Fu sorretto dalla sua fede in Cristo. Rispose con grande fermezza a ogni sopruso. La principale accusa che gli veniva imputata era quella di essere traditore della nazione, asservito all’Occidente e al Vaticano. Durante il processo, mentre si stava quasi per concludere, un militare lo interrogò sulla sua fede. “Voi credete in Dio e in suo figlio Gesù Cristo?”.

La risposta del gesuita arrivò senza esitazioni

Il gesuita non esitò nella risposta. “Io credo sin dalla mia infanzia e sono pronto a morire per rendere testimonianza della mia fede”. “Vedremo se questo Gesù Cristo salverà la vostra testa dalla giustizia del tribunale popolare!”, rispose il militare con sarcasmo, ricordando la conversazione tra Gesù e il centurione romano prima della sua crocifissione.

“Io e i miei compagni consideriamo un privilegio morire per Gesù Cristo, perché il nostro sacrificio sarà fonte di nuovi martiri della fede cristiana”, fu la chiara replica del sacerdote. “Forse un giorno il popolo capirà quale errore è stato commesso”. Il 4 marzo 1946 venne eseguita la sentenza, e il religioso, insieme ai suoi compagni, fu ammazzato dal regime comunista.

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Gli otto soldati del plotone, armati di mitragliatrici, fecero fuoco alle 6 in punto. Verrà presto incluso nell’elenco dei 38 martiri albanesi beatificati il 5 novembre 2016 a Scutari. restano le ultime parole di padre Daniel: “Perdono tutti coloro che mi hanno fatto del male. Sono contento di poter morire da innocente piuttosto che da colpevole. Che i miei genitori offrano dei soldi a padre ZefShllaku per celebrare due Messe per me”. Mentre sullo sfondo risuonava il grido comune dei condannati: “Viva Cristo Re! Viva l’Albania!”.

Giovanni Bernardi

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