La storia del Beato Giovanni Battista Zola si interseca con quella della gloriosa evangelizzazione del Giappone, passata però per atroci violenze e sofferenze.
L’evangelizzazione cominciò con i gesuiti e in particolare con San Francesco Saverio, i cui risultati nei decenni successivi al 1549 furono notevoli. Nel 1587 i cattolici giapponesi erano infatti circa trecentomila, e il centro principale era a Nagasaki. Ma il maresciallo della corona, lo “shogun” Hideyoshi, nel 1587 emanò un decreto di espulsione contro i Gesuiti, che in quel momento era l’unico Ordine religioso presente nel Giappone.
La missione evangelizzatrice dei gesuiti in Giappone
Anche se il decreto fu in parte eseguito, la maggior parte dei Gesuiti rimase nel paese mantenendo una linea di prudenza, di silenzio e senza alcuna esteriorità, ma mantenendo allo stesso tempo viva l’opera evangelizzatrice. Ma nel 1593 sbarcarono in Giappone alcuni Frati Francescani, e al contrario dei gesuiti questi cominciarono a predicare in pubblico, provocando una dura reazione da parte dello shogun.
L’ordine era quello di imprigionare tutti i cristiani. I primi arresti arrivarono nel 1596. I protomartiri del Giappone furono crocifissi e trafitti nella zona di Nagasaki, che prese poi il nome di “santa collina”. Ma la comunità cattolica aumentò, anche per l’arrivo di altri missionari, anche domenicani e agostiniani. La persecuzione si fece sempre più dura. I martiri furono moltissimi. Il picco arrivò tra il 1617 e il 1632, e i supplizi non risparmiavano nemmeno i bambini. I martiri appartenevano ad ogni condizione sociale, età o ruolo.
L’italiano Giovanni Battista Zola tra i 33 gesuiti condannati a morte
Molti venivano legati a un palo e bruciati, altri decapitati o tagliati membro per membro. La “santa collina” di Nagasaki fu illuminata da “torce umane” per parecchie sere e notti. Al momento la Chiesa ha riconosciuto ufficialmente il martirio per almeno 205 vittime, grazie al raccoglimento delle testimonianze. Di questi, 33 erano dell’Ordine della Compagnia di Gesù, tra cui anche l’italiano Giovanni Battista Zola, nato a Brescia nel 1575 e entrato ventenne fra i Gesuiti, prima di essere destinato all’attività missionaria, in un primo momento in India e poi in Giappone.
Per venti svolse il suo ministero apostolico, nonostante la sua cagionevole salute, nella regione del Tacacu, densa di isole. Pubblicò anche piccole riviste cattoliche. Testimonianze lo ricordano come un “apostolo infaticabile nell’operare; di soda e provata virtù, di una soavissima carità nel trattare, per cui fu caro e stimato dai giapponesi, i cui costumi e la cui lingua aveva appreso ottimamente. Scrisse anche un libro sulla devozione alla Madonna, verso la quale nutriva un tenerissimo amore; molto si adoperò per diffonderne il culto fra i cristiani”.
Per tutta la prigionia non persero la gioia di tornare alla Casa del Padre
Durante la persecuzione scoppiata nel 1614, recò in carcere conforto religioso al padre gesuita Pietro Paolo Navarra prima del suo martirio. Da padre Navarra ebbe la profezia che sarebbe stato martire anche lui. In lui ardeva il desiderio di dare la propria vita per il Regno di Cristo. Quando la persecuzione prese toni sanguinari, il 22 dicembre anche padre Giovanni Battista Zola fu arrestato insieme al suo catechista coreano Vincenzo Caun.
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Fu detenuto a Scimabara per oltre sei mesi, sopportò la prigionia aggravata dalla malferma salute, e si abbandonò alla volontà del Signore, ringraziandolo. Contenti e allegri aspettarono la loro ora. L’unico loro dispiacere era quello di non avere arredi per celebrare Messa, né di avere con sé libri spirituali, breviari, corone del rosario. Il 17 giugno furono trasferiti a Nagasaki, e lì il 20 giugno padre Zola, insieme ad altri otto martiri gesuiti, fu arso vivo sulle colline della città.
Giovanni Bernardi