Nella tragedia avvenuta a Beirut un giovane cristiano di 23 anni è diventato simbolo della speranza di una vita che non si ferma al nostro corpo mortale.
Si chiamava Joe Elias Akiki e lavorava nel porto della capitale per pagarsi gli studi in Ingegneria Elettronica presso l’Università di Notre Dame Louaize, in Libano, un centro cattolico in cui il ragazzo studiava dal 2016.
Il corpo del giovane ritrovato tra le macerie di Beirut
Il corpo del giovane è stato ritrovato il 7 agosto tra le macerie. Tuttavia, appena rinvenuto dagli operatori che eseguivano le ricerche tra le macerie, un particolare è subito saltato agli, già pieni di lacrime per il dolore. Joe Elisa Akiki è passato a miglior vita stringendo con tutte le forze una croce nella sua mano.
L’immagine, catturata da chi è entrato in contatto con il suo corpo esanime, ha fatto il giro dei social newtork diventando il simbolo del terribile disastro che si è compiuto in Libano.
La notizia diffusa sui social network
La giornalista Christiane Waked ha diffuso la notizia sul suo profilo Twitter. “Intrappolato per tre giorni sotto l’edificio crollato, Joe Akiki ha pregato tutto il tempo tenendo la croce in mano, è morto pregando, è morto in silenzio”, ha affermato la donna.
Trapped for three days under the collapsed building, Joe Akiki was praying the whole time holding the cross in his hand, he died praying, he died quietly. #Beirut #Lebanon pic.twitter.com/YHwTbsXO48
— Christiane Waked ن (@ChristianeWaked) August 7, 2020
La dedica dell’università cattolica in cui Joe studiava
Anche l’università in cui Joe studiava ha dedicato a lui una dedica con un post pubblicato su Twitter. La frase con cui si apre il messaggio di cordoglio è molto significativa, ed è una citazione di Santa Teresa di Lisieux. “Non sto morendo, sto entrando nella vita”.
“È con grande rammarico che l’NDU saluta Joe Elias Akiki”, ha scritto l’università. Inviando “le sue più sincere condoglianze alla sua famiglia e ai suoi cari”. “Possa la tua anima riposare nella pace eterna“, ha infine scritto l’università nel post che accompagna la citazione di Santa Teresa.
“I am not dying; I am entering into life.” (St. Thérèse of Lisieux)
It is with a heavy heart that NDU says goodbye to Joe Elias Akiki, Electrical Engineering student since 2016.
NDU sends its deepest condolences to his family and loved ones. May his soul rest in eternal peace. pic.twitter.com/QuTOXgdTIQ— NDU Louaize (@NDU_Louaize) August 7, 2020
La terribile distruzione di Beirut
L’area del porto della capitale libanese è stata infatti completamente distrutta il 4 agosto scorso, a causa di due terribili deflagrazioni. Una delle due esplosioni ha raggiunto un raggio di ben nove chilometri, portando con sé la distruzione di edifici e abitazioni. Colpendo anche diverse chiese, moschee e ospedali, già in difficoltà a causa dell’emergenza coronavirus che ha reso le strutture del paese sature e in situazione molto critica.
Il ministero della Sanità ha divulgato diverse informazioni sull’accaduto, e pare che al momento si siano registrati più di 150 morti, senza contare gli oltre cinquemila feriti. Il ministro della Sanità Hamad Hassan ha inoltre spiegato che tra i feriti che ne sono almeno 120 che versano in condizioni piuttosto critiche.
Le stime dei danni e l’aiuto di Papa Francesco
Il governatore della città di Beirut, Marwan Abboud, ha in seguito diffuso le stime sui danno prodotti dall’evento catastrofico. Si parla di danni stimati tra i tremila e i cinquemila milioni di dollari. Che colpiscono almeno 300mila persone sono colpite. E che, ad oggi, risultano essere “impossibilitate a dormire nelle loro case”.
Anche la Santa Sede, profondamente toccata da quanto accaduto, ha deciso di prendersi carico materialmente della situazione di emergenza. Papa Francesco, per cercare di aiutare a prendersi cura delle vittime, ha fatto una donazione di 250mila euro alla Chiesa in Libano.
Il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale della Santa Sede, dopo l’evento catastrofico, ha affermato che “in questi momenti di difficoltà e sofferenza” l’aiuto che arriva dal Vaticano “vuole essere un segno dell’attenzione e della vicinanza di Sua Santità verso la popolazione colpita e della sua vicinanza paterna alle persone che si trovano in gravi difficoltà“.
Giovanni Bernardi