C’è chi prova a sostenere che Benedetto XVI sia stato, durante il suo pontificato, un Pontefice incapace di incidere sugli equilibri della Curia romana. Non è così.
Questi sostengono infatti che il suo pontificato sia stato poco più che un semplice momento di transizione nella storia della Chiesa cattolica, da Giovanni Paolo II a Francesco.
Niente di più falso e di più lontano dalla realtà. Si tratta infatti di una ricostruzione frutto di una visione parziale, faziosa e distorta della realtà di quanto è accaduto. Una lettura che in passato venne adottata anche per Papa Luciani, che nel suo breve periodo di governo della Chiesa affermò di volere chiudere lo Ior, la banca vaticana.
Un progetto che ha mancato di andare in porto per via della sua scomparsa prematura. Quello delle finanze vaticane, infatti, da sempre costituisce un terreno molto delicato e scivoloso dei progetti di ogni pontefice.
Al centro, inevitabilmente, di numerosi e problematici scandali, come da ultimo quello del lussuoso palazzo di Londra, che ha portato a indagare diversi finanzieri laici, a fare dimettere il cardinale Angelo Becciu dal suo ruolo nella Curia vaticana, e a fare arrestare la manager sarda Cecilia Maroga, descritta come la “dama” del cardinale.
Ratzinger, come Bergoglio, puntò molto sul rendere il Vaticano, o meglio la Santa sede, un soggetto trasparente dal punto di vista finanziario. Per realizzare questa trasparenza, però, è necessario passare dalla banca vaticana, e in particolari dai rapporti tra l’istituto per le opere di religione e gli altri enti finanziari in capo ad altri stati.
Dal punto di vista materiale e secolare, Benedetto XVI infatti provò in un esperimento senza precedenti, quello di mettere in atto un’opera di riforma complessiva della Santa sede in materia economico-finanziaria. Ciò che ora sta tentando di portare avanti, sulla sua scia, Papa Francesco. Ratzinger aveva infatti pensato di cominciare la sua opera con un macro-disegno di legge.
In questo, venivano toccati più ambiti, da quello procedurale a quello sanzionatorio. Sottoponendo, in questo modo, i conti in capo al Vaticano alle normative internazionali, in particolare grazie a un pacchetto di norme anti-riciclaggio. Ma non c’era solo questo.
Ratzinger era anche molto contrario alla “tassa ecclesiastica” della Chiesa tedesca, un unicum del cattolicesimo che rende i vescovi in Germania non solo a capo di una grande ricchezza ma anche di un potere di influenza su Roma molto deciso.
“Gli esempi storici mostrano che la testimonianza missionaria di una Chiesa distaccata dal mondo emerge in modo più chiaro. Liberata dai fardelli e dai privilegi materiali e politici, la Chiesa può dedicarsi meglio e in modo veramente cristiano al mondo intero, può essere veramente aperta al mondo”, scriveva Ratzinger.
Giovanni Bernardi
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