Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, l’«atleta di Cristo» e il «Mozart della teologia», hanno dato vita a un sodalizio che ha lasciato un’impronta profonda nella vita della Chiesa e nel mondo.
Cosa univa due pontefici che hanno collaborato a lungo assieme per guidare il timone della barca di Pietro in mezzo alle sfide del loro – e del nostro – tempo.
Un rapporto il loro iniziato nel Conclave che nel 1978 porterà all’elezione di Giovanni Paolo I. Dopo il brevissimo pontificato di papa Luciani e la successiva elezione di Karol Wojtyla al soglio pontificio, alla fine del 1981 arriva per Joseph Ratzinger – allora arcivescovo di Monaco – la chiamata alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede. È l’inizio di una collaborazione che durerà 24 anni, nel corso della quale la stima reciproca si trasformerà in una profonda amicizia.
A ricordarlo è stato lo stesso Benedetto XVI nel libro Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici & i collaboratori raccontano, pubblicato dalle edizioni Ares. «La collaborazione con il Santo Padre fu sempre caratterizzata da amicizia e affetto», sottolinea Benedetto XVI. Un sentimento pienamente ricambiato da papa Wojtyla che nel libro Alzatevi, andiamo! scriverà: «Rendo grazie a Dio per la presenza e l’aiuto del cardinale Ratzinger, che è un amico fidato».
Una collaborazione, quella tra il papa venuto dall’est e il professore tedesco di teologia, consolidata anche dai molti «pranzi di lavoro» che Giovanni Paolo II aveva l’abitudine di organizzare e durante i quali, rammenta Ratzinger, «c’era sempre posto anche per il buon umore. Il Papa rideva volentieri e così quei pranzi di lavoro, pur nella serietà che s’imponeva, di fatto erano anche occasioni per stare in lieta compagnia».
La vita di preghiera di San Giovanni Paolo II
Insieme i due hanno affrontato numerose sfide dottrinali: dalla teologia della liberazione all’ecumenismo, dal dialogo interreligioso alla natura della teologia. Ma naturalmente il mandato come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ha dato modo all’allora cardinale Ratzinger di osservare molto da vicino, tastandola quasi con mano, la profonda spiritualità del papa polacco caratterizzata, spiega Benedetto, «soprattutto dall’intensità della sua preghiera e pertanto era profondamente radicata nella celebrazione della Santa Eucaristia e fatta insieme a tutta la Chiesa con la recita del Breviario».
«Il compito di portare Cristo agli altri stava ancorato al centro della sua pietà», ricorda papa Ratzinger prima di rievocare «il suo grande amore per la Madre di Dio. Donarsi tutto a Maria significò essere, con lei, tutto per il Signore».
Il coraggio della verità
A quello che è stato il suo più stretto collaboratore non era sfuggita naturalmente la santità di Giovanni Paolo II: «Che Giovanni Paolo II fosse un santo, negli anni della collaborazione con lui mi è divenuto di volta in volta sempre più chiaro». Papa Woytjla, prosegue Benedetto, «non chiedeva applausi, né si è mai guardato intorno preoccupato di come le sue decisioni sarebbero state accolte. Egli ha agito a partire dalla sua fede e dalle sue convinzioni ed era pronto anche a subire dei colpi. Il coraggio della verità è ai miei occhi un criterio di prim’ordine della santità».
La profonda comunione col Signore, in cui era letteralmente immerso, aveva dato a papa Giovanni Paolo II la letizia e la radicalità che sostenevano il suo impegno instancabile. Un impegno che iniziava con la Messa mattutina e si protraeva fino a tarda notte. Per non parlare dei grandi viaggi, sempre fitti di appuntamenti.
Riposarsi? «Posso farlo in Cielo»
Benedetto ricorda un aneddoto molto concreto che prova questo impegno enorme da parte di Giovanni Paolo II. Durante la sua prima visita in Germania, nel 1980, il Papa lo fece chiamare nella sua stanza, a Monaco di Baviera. «Lo trovai – racconta Benedetto XVI – che recitava il Breviario e gli dissi: «Santo Padre, Lei dovrebbe riposare»; e lui: «Posso farlo in Cielo». Solo chi è profondamente ricolmo dell’urgenza della sua missione può agire così». Questo era San Giovanni Paolo II, ci dice Benedetto: un uomo di una «straordinaria bontà e comprensione».
Un ricordo pieno di gratitudine
«Il mio ricordo di Giovanni Paolo II è colmo di gratitudine. Non potevo e non dovevo provare a imitarlo, ma ho cercato di portare avanti la sua eredità e il suo compito meglio che ho potuto. E perciò sono certo che ancora oggi la sua bontà mi accompagna e la sua benedizione mi protegge».
Queste le parole finali della testimonianza di Benedetto XVI, che la dicono lunga anche sulla profonda umiltà del «Mozart della teologia». Che non di rado, lui che era un uomo mite abituato a discutere con pacatezza sulla base di argomenti ragionati, ha fatto da parafulmine al Papa che lo aveva chiamato a essere il custode dell’ortodossia cattolica.
Quei colpi incassati al posto del Papa
Lo ha ricordato di recente lo storico segretario personale di Benedetto XVI, monsignor Georg Gänsewein. «È certamente un grande dono, una grande grazia quella di poter lavorare così a lungo, così intensamente e in modo così stretto a fianco di un uomo santo come Giovanni Paolo II, superando insieme anche parecchie bufere. E Ratzinger stesso, da cardinale, dovette incassare anche molti colpi al posto di Giovanni Paolo II. È chiaro: il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede non può essere «everybody’s darling», ma deve spesso prestare il fianco per il Papa, così che molti colpi indirizzato al Papa si abbattano invece su di lui».
Ragione in più per ringraziare il Signore per il dono che ci ha fatto donandoci questi due grandi pastori, questi due grandi amici, alla guida della Sua Chiesa.