Silvio Berlusconi non si interessava solo alle prestazioni dei suoi giocatori, ma anche alla loro serenità interiore, inclusa quella spirituale.
Lo rivela il vescovo che per diversi anni ha seguito spiritualmente la squadra rossonera nelle vesti di cappellano del Milan.
Sull’uomo pubblico Silvio Berlusconi si potrebbero dire molte cose. Insieme agli indubbi meriti, al Berlusconi politico si potrebbe rimproverare l’impronta liberale di Forza Italia che sui temi etici – salvo che nella vicenda di Eluana Englaro – ha avuto una manica sempre molto, troppo larga.
Al Berlusconi comunicatore invece si potrebbe eccepire il ruolo giocato dalle sue televisioni nella “mutazione individualista” che ha cambiato a fondo il panorama valoriale del nostro Paese.
Di che pasta era fatto Berlusconi?
Ma non è questo il momento di farlo. Oggi, nel giorno del suo funerale, ci interessa l’uomo Berlusconi: la “pasta umana” di cui era fatta la sua persona. A sentire le tante testimonianze di chi l’ha conosciuto, la pasta dell’uomo Berlusconi parla di una personalità ricca di umanità, attenta alla persona concreta con cui aveva a che fare. Un uomo di fine sensibilità e intelligenza emotiva, un lavoratore instancabile capace di grandi slanci di generosità.
Un uomo che, insomma, sapeva spendersi e donarsi, consapevole che anche la politica e l’imprenditoria passano per i rapporti personali, attraverso strette di mano (un simbolo potentissimo di alleanza che sfida i secoli) con esseri in carne e ossa. Da qui il suo sforzo per personalizzare i rapporti, il suo insistere sulle amicizie personali. Un limite, per gli analisti, che anche in queste ore non hanno mancato di ricordarci che in politica i rapporti di forza – soprattutto quelli tra Stati – prescindono dai legami individuali. Seguono una logica collettiva, non quella personale.
Poco importa qui che possano aver ragione, anche solo in parte. Sta di fatto che questo filo rosso – l’attenzione alla persona concreta – ha attraversato tutta l’esistenza umana di Silvio Berlusconi rendendo la sua presenza preziosa e importante agli occhi di chi lo ha accompagnato nei suoi 86 anni di vita. Come se il Cavaliere volesse sempre puntare al cuore, prima che alla mente, di chi gli stava davanti. Dimostrando anche di sapersi fermare, all’occorrenza, davanti a un cuore che rischiava di lacerarsi.
Quella volta che Berlusconi non volle strappare il cuore di Napoli
Mi ha colpito in questo senso la sua ultima intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport, lo scorso 11 aprile, prima del match tra il Monza, di cui era presidente, e la squadra del suo cuore: il Milan. Lì Berlusconi raccontava del suo tentativo di portare Maradona dal Napoli al Milan. Un passaggio che forse, sottolinea il Cavaliere, avrebbe potuto anche aiutare la fragile personalità del pibe de oro ad evitare alcuni errori grazie alla struttura ben organizzata e disciplinata del club rossonero.
Ma la trattativa non andò in porto. Proprio per ragioni di “cuore”, spiega Berlusconi. Sì, perché «quel giorno, parlando con lui, mi resi conto di una cosa: Maradona era Napoli, era il simbolo e la bandiera del più grande Napoli della storia, almeno fino a oggi. Le bandiere non si comprano e non si spostano. Sarebbe stato come prendere il cuore di un’intera città e trasferirlo a Milano. Sarebbe stato ingiusto, non si poteva fare. Lo stesso Diego, che aveva una grande sensibilità, condivideva questa valutazione».
Cosa sarebbe stato il Milan degli invincibili con un Maradona in più nel motore? Quanti trofei avrebbe raccolto ancora? Facile da immaginare. Eppure, cosa rara oggi, Berlusconi si fermò davanti alle ragioni del cuore, consapevole che anche in un mondo duro e competitivo come quello del pallone non tutto si può comprare, non tutto ha un prezzo. C’è qualcosa che va al di là dei soldi e degli affari. Ci sono dei valori che non sono quelli della borsa valori. Berlusconi aveva questo senso del limite da non oltrepassare.
La profonda, insaziabile umanità di un animo generoso. Era questo il segreto di Berlusconi? Cosa resta del mistero di un uomo? L’affetto che lo circonda in queste ore, un sentimento prima di tutto popolare, che nasce dal cuore della gente comune, è forse la migliore risposta a questa domanda.
Perché Berlusconi si interessava ai giocatori che andavano a Messa
Per questo non ci stupisce nemmeno troppo leggere quanto ha raccontato alla Nuova Bussola Quotidiana Monsignor Massimo Camisasca, vescovo emerito di Reggio Emilia e Guastalla. Il vescovo Camisasca, proveniente dal mondo di Comunione e Liberazione, ex superiore della Fraternità San Carlo, per quattro anni è stato anche cappellano del Milan.
Fu proprio Berlusconi a chiamarlo nel 1986 per assegnargli questo ruolo. Così ogni sabato pomeriggio, quando il Milan giocava in casa la domenica, celebrava Messa a Milano accompagnando anche la squadra a Barcellona e a Vienna per le due vittoriose finali di Coppa dei Campioni.
Un giorno, racconta Mons. Camisasca, Berlusconi gli chiese: «Quanti vengono a Messa? E chi?». Lui non fece nomi per una questione di riservatezza, ma gli disse che la media dei partecipanti era più alta di quella italiana. «Era vero: tanti giocatori del Milan di Sacchi partecipavano alla Messa», spiega il vescovo.
E alla domanda dell’intervistatore (Andrea Zambrano) sulle ragioni che spingevano Berlusconi a interessarsi a quanti (e quali) tra i suoi giocatori andassero a Messa, Camisasca risponde: «Anzitutto perché riteneva un dovere offrirla ai suoi giocatori e voleva capire che risposta aveva, Berlusconi non aveva finalità altre, era sincero. E poi era convinto che la Messa vissuta cristianamente potesse dare serenità e normalità a una squadra che era sul tetto del mondo. Ne percepiva il valore umano e ultraterreno».
Un Cavaliere attento alle ragioni del cuore e a quelle dell’anima
Riportando questi aneddoti, sia ben chiaro, non intendiamo canonizzare nessuno. In primo luogo perché non è compito nostro. In secondo luogo perché il desiderio della celebrazione a volte rischia di far dimenticare la necessità dell’orazione per l’anima che si trova al cospetto dell’Altissimo. E chi può dire di non avere bisogno di preghiere nel momento decisivo della sua esistenza?
Ma era giusto dire che Silvio Berlusconi è stato anche questo: un uomo attento alle ragioni del cuore e a quelle dell’anima. E la gente comune, quella che suda e fatica ogni santo giorno, questo forse lo ha capito meglio di tanti altri. Non coi ragionamenti, ma con gli occhi del cuore. I soli capaci di andare all’essenziale. Per cogliere l’essere reale, l’anima profonda di ogni uomo.