Quaresima è innanzitutto sinonimo di “conversione”. Lo ha ricordato il cardinale Raniero Cantalamessa, durante la prima delle quattro prediche del tempo quaresimale tenute davanti alla Curia Vaticana.
Il Nuovo Testamento offre “tre contesti diversi” che spiegano la “metanoia evangelica”. Il Predicatore della Casa Pontificia ha ricordato che “c’è una conversione per ogni tempo della vita”.
La prima conversione è dalla legge al Regno
La prima di queste conversioni attinge al Vangelo della prima domenica di Quaresima di quest’anno: “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15). In questo caso, convertirsi non significa “tornare indietro”, come si intendeva nell’Antico Testamento. Con Gesù, la conversione non ha più quel significato austero e sacrificale del ritorno alla “legge” ma implica “fare un balzo nel Regno”. Non siamo più di fronte a un “Dio che chiede” ma a un “Dio che viene a mani piene per darci tutto”.
C’è poi una seconda accezione di conversione che è quella dei “già convertiti” al Regno. Questa conversione comporta il “tornare bambini”, ovvero tornare al “primo vero incontro personale con Gesù, quando dicevamo Dio solo basta e ci credevamo”. In tal senso, i primi a doversi convertire sono proprio gli apostoli, quando iniziano a discutere su chi fosse il più grande. “Pietro aveva il primato, Giuda aveva la cassa, Andrea era il primo, Matteo aveva lasciato più degli altri – ha osservato Cantalamessa –. I frutti sono evidenti nel Vangelo: rivalità, sospetti, frustrazione”. Gesù, allora, li ammonisce e li esorta a “decentrarsi da se stessi e ricentrarsi su Cristo, e sul Regno”.
Dalla tiepidezza al fervore
Un terzo tipo di conversione è quella che emerge dalle sette lettere dell’Apocalisse alle chiese particolari, in special modo alla Chiesa di Laodicea. “Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca”, si legge in Apocalisse 3,15-16. È un drammatico invito alla “conversione dalla mediocrità e dalla tiepidezza al fervore dello spirito”.
Il rischio della tiepidezza era stato colto anche da Sant’Agostino e, in seguito da Santa Teresa d’Avila. La carmelitana spagnola scriveva: “Di passatempo in passatempo, di vanità in vanità, di occasione in occasione cominciai a mettere di nuovo in pericolo la mia anima”. Santa Teresa coglieva, cioè, la comunissima tentazione di voler conciliare “la vita dello spirito con i gusti e i passatempi dei sensi” terreni. Il risultato era stato quello di una “profonda infelicità”, in cui l’anima non ode né in Dio, né nel mondo.
Lo Spirito Santo non fa “cose nuove” ma fa “nuove tutte le cose”
Da parte sua, San Paolo esorta: “Siate ferventi nello Spirito”. E aggiunge: “Se mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete”. Lo Spirito, infatti, “ci è dato per essere in grado di mortificarci più che come premio per essere mortificati”. Del resto, gli stessi apostoli “finché non furono battezzati a pentecoste con lo Spirito, non mostrarono nulla di nuovo”. Da quel momento iniziarono a provare una “sobria ebbrezza”. Non l’ebbrezza del vino, che “fa barcollare” ma l’ebbrezza dello spirito, che “rende stabile”.
“Lo spirito santo non fa cose nuove, ma fa nuove le cose – ha spiegato Cantalamessa –. Una vita cristiana piena di sforzi ascetici, di mortificazione, senza il tocco vivificante dello Spirito, assomiglia ad una Messa senza consacrazione delle specie. Tutto rimarrebbe quello che era prima”.
È proprio dallo Spirito che arriva la conversione definitiva. Se non si vuol parlare di “Battesimo dello Spirito”, allora si parlerà di “Spirito del Battesimo”. Una “unzione” che è diventato un mezzo per “rinnovare la vita di decine di milioni di cristiani. Non si contano le persone che erano cristiani solo di nome e lo sono diventati di fatto grazie al Battesimo dello spirito”, ha detto il cardinale Cantalamessa verso la conclusione della Predica.
Luca Marcolivio