L’avvicinamento alla Settimana Santa e al Triduo Pasquale spinge a una riflessione più profonda sulla persona di Gesù e sul rapporto personale con Lui.
Nel corso dell’ultima predica di Quaresima, il cardinale Raniero Cantalamessa ha tratto spunto dagli Atti degli Apostoli (At 25,13-22). Questo passo offre “un dettaglio in cui è riassunta una storia di venti secoli”.
Festo espone al re Agrippa il caso di San Paolo, che parlava di “un certo Gesù, morto”, sostenendo fosse “ancora in vita”. Il fatto che, proprio adesso, Gesù sia vivo lo rende “non un personaggio” ma “una persona”, ha affermato il Predicatore della Casa Pontificia. Gesù, oggi, “vive secondo lo Spirito” ma questo è “un modo di vivere più forte che nella carne”, perché “vive dentro di noi”.
Nel corso dei secoli, i concili hanno definito il “dogma dell’unica persona di Cristo. L’unità stessa della persona di Cristo – ha ricordato Cantalamessa – non è contestata da alcuno”, nemmeno da chi ne nega la natura divina accanto a quella umana. È importante però, ribadire, che Cristo non è “un’idea”, né “un problema storico” ma “una persona vivente”. In questo modo, si impedisce al cristianesimo di diventare “ideologia” o “teologia”.
L’incontro personale di Saulo di Tarso con Gesù di Nazaret fu una “folgorazione” e “venti secoli non hanno esaurito la forza di quel momento”. Tutti i privilegi di cui Saulo aveva goduto nel suo status di ebreo e fariseo, erano ora considerati una “perdita” di fronte al “guadagno” che era Cristo, per “conoscere Lui”
E qui Cantamessa ha fatto riferimento alla sua esperienza personale di teologo e credente: “Mi sembrava che quel semplice pronome personale (“Lui”, n.d.r.) contenesse molto più di un trattato di teologia – ha detto –. Conoscevo dottrine su Gesù ma non Lui presente, non quel Tu che mi stava davanti. Non avevo avuto una conoscenza personale”, ha ammesso il porporato, e ciò è una “contraddizione”, seppure molto “frequente”.
Sia Sant’Agostino che San Tommaso sono arrivati alla conclusione che Gesù è Figlio di Dio, “per la sua relazione con il Padre”. Anche Hegel suggerisce di “recuperare se stessi, immergendosi nell’altro”. Essere persona, quindi, è “essere in relazione” con qualcuno e ciò vale non soltanto per le persone della Trinità ma anche per le creature umane.
Impossibile, dunque, “conoscere Gesù come persona, senza entrare in una relazione con Lui” e “toccarlo” di un “tocco più forte di quello fisico”. È questa la differenza tra “personaggio” e “persona”: Giulio Cesare o Leonardo Da Vinci sono “personaggi” storici di cui “si può parlare ma con cui non ci si può parlare”. Quanto a Gesù, persino milioni di cristiani che credono nei dogmi, nei riti e nella presenza di Cristo nell’eucaristia, eppure ciò tocca loro nella “mente”, non nel “cuore”.
Queste considerazioni attualizzano più che mai l’invito di papa Francesco nella Evangelii Gaudium: “rinnovare oggi stesso l’incontro personale con Gesù Cristo”, cercarlo “ogni giorno, senza sosta”.
Nella vita di ogni persona c’è sempre evento spartiacque: per i laici, normalmente, è il “matrimonio”, per i religiosi la “professione”, per i sacerdoti l’“ordinazione”. Dal punto di vista “personale” e “profondo”, tuttavia, “c’è un solo evento che segna un prima o un dopo” ed è l’“incontro con Cristo”. Gesù, tuttavia, non lo si incontra nelle Scritture o in una predica ma solo ed esclusivamente “tramite lo Spirito Santo”, il quale “non vede l’ora che glielo chiediamo”.
È importante, quindi, “conoscere” Gesù: il che non implica “avere un’idea esatta”, quasi scientifica ma significa intrattenere un “rapporto” con Lui. Questo rapporto tra Gesù e l’uomo richiama il rapporto tra le persone della Trinità, che non sussisterebbero se non ci fosse l’“amore” che si identifica con lo Spirito Santo e che rende Padre e Figlio soggetti e oggetti di quell’amore. Quindi “il nostro rapporto con Cristo consiste nell’essere amati da Cristo e amarlo”. La nostra “relazione d’amore” con Cristo viene prima di tutte le altre relazioni possibili con Lui: ad esempio quella tra “maestro” e allievo.
San Paolo scrive: “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?” (Rom 8,35). L’apostolo, qui, non fa riferimento a un’“enumerazione astratta di pericoli” ma a situazioni che lui stesso aveva “vissuto concretamente”, compresa “l’opposizione ostinata di alcuni membri della sua comunità”. Conclude, però, che su tutte queste “siamo trionfalmente vincitori, in virtù di colui da cui siamo amati”: Gesù Cristo (cfr Rm 8,37).
Cantalamessa ha concluso la predica con lo sguardo alla Settimana Santa e, in particolare, al Venerdì Santo, dopo il quale, “Gesù non è tornato alla vita di prima ma a una vita migliore, da Signore dell’universo”. L’augurio del Predicatore della Casa Pontificia, dunque, è che, trascorso il buio della pandemia “il mondo esca migliore” e non rimanga “lo stesso di prima”.
Luca Marcolivio
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