È Gesù Cristo che conferisce alle parole “fratelli” e “fratellanza” il loro significato più alto. Ne ha parlato, il cardinale Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, in occasione della Celebrazione della Croce in San Pietro.
Nella sua omelia del Venerdì Santo, pronunciata davanti a papa Francesco e ai membri della Curia Romana, il porporato ha attinto in primo luogo all’enciclica Fratres omnes.
“Fratelli di sangue” grazie alla Croce
Nel documento pontificio, uscito lo scorso 3 ottobre, viene ricordato che, per i cristiani, il principio di fraternità è incardinato “nel Vangelo di Gesù Cristo”. Da lì “scaturisce per il pensiero cristiano e per l’azione della Chiesa il primato dato alla relazione, all’incontro con il mistero sacro dell’altro, alla comunione universale con l’umanità intera come vocazione di tutti”, ha sottolineato Cantalamessa.
La “fraternità”, ha proseguito il Predicatore, ha un “fondamento cristologico”, essendo stata “inaugurata” proprio “sulla croce” da Gesù. In questo “allargamento dell’orizzonte”, si giunge a “chiamare fratello ogni persona umana, per il fatto di essere tale”. È “fratello” colui il quale la Bibbia chiama “prossimo”.
Chiunque accolga i suoi insegnamenti è per Gesù “fratello, sorella e madre” (Mt 12,148-50) e, “in questa linea, la Pasqua segna una tappa nuova e decisiva”. I discepoli non condividono con Gesù soltanto l’“insegnamento” ma “anche il suo Spirito, la sua vita nuova di risorto”. Dopo la Pasqua, si diventa “fratelli di sangue” ma, in questo caso, “del sangue di Cristo”.
“Questo fa della fraternità in Cristo qualcosa di unico e di trascendente, rispetto a ogni altro genere di fraternità ed è dovuto al fatto che Cristo è anche Dio – ha spiegato Cantalamessa –. Essa non si sostituisce agli altri tipi di fraternità basati su famiglia, nazione o razza, ma li corona”.
La Chiesa: una “tunica lacerata”
In quanto cristiani, quindi, non siamo fratelli soltanto “a titolo di creazione”, ma anche “di redenzione”: figli dello “stesso Padre” e “fratelli di Cristo”. La “fraternità universale”, allora, “comincia, per noi, con la fraternità nella Chiesa Cattolica”. Questo elemento chiama in causa un “secondo cerchio”, rappresentato dalla “fraternità tra tutti i credenti in Cristo, cioè l’ecumenismo”.
La “fraternità cattolica” è rimasta infatti “ferita”, la “tunica di Cristo è stata fatta a pezzi dalle divisioni tra le Chiese” e “ogni pezzo della tunica è spesso diviso, a sua volta, in altri pezzi”. Ciò è avvenuto a livello “umano”, poiché “la vera tunica di Cristo, il suo corpo mistico animato dallo Spirito Santo, nessuno la potrà mai lacerare”.
La “causa più comune” delle divisioni tra i cattolici, tuttavia, non riguarda “i sacramenti e i ministeri”. Spesso l’“opzione politica […] prende il sopravvento su quella religiosa ed ecclesiale e sposa una ideologia, dimenticando completamente il valore e il dovere dell’obbedienza nella Chiesa”. In altre parole, “il regno di questo mondo è diventato più importante, nel proprio cuore, che non il Regno di Dio”: ciò implica il richiamo a “un serio esame di coscienza e a convertirci”.
Gesù non “fa politica”
Questa divisione in senso ideologico non nasce oggi ma è sempre stata presente sin dalla fondazione della Chiesa. Già allora, infatti, “esistevano quattro partiti: i Farisei, i Sadducei, gli Erodiani e gli Zeloti – ha affermato Cantalamessa –. Gesù non si schierò con nessuno di essi e resistette energicamente al tentativo di trascinarlo da una parte o dall’altra”.
Questa ‘imparzialità’ di Gesù sollecita un “esame di coscienza” per i pastori, inducendoli a domandarsi “dove stanno portando il proprio gregge: se dalla propria parte o dalla parte di Gesù”. Da questo punto di vista, il Concilio Vaticano II incoraggia i laici a “tradurre le indicazioni sociali, economiche e politiche del Vangelo in scelte anche diverse, purché sempre rispettose degli altri e pacifiche”.
Il cardinale Cantalamessa ha concluso con un richiamo al carisma dell’“unità”. In tal senso, il recente viaggio del Papa in Iraq è stato la conferma di come anche un contesto lacerato da “guerre e persecuzione” può “sentirsi parte di un corpo universale”.
A Gesù, morto in croce “per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11, 52)”, eleviamo dunque “la preghiera che la Chiesa gli rivolge a ogni Messa prima della Comunione: Signore Gesù Cristo, che hai detto ai tuoi apostoli: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace», non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa, e donale unità e pace secondo la tua volontà. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen”.
Luca Marcolivio