Il cardinale George Pell rompe il silenzio e mette un punto chiaro su un dibattito profondamente sentito: quello della figura del Papa emerito.
Pell, ex ministro dell’economia vaticana, incarcerato ingiustamente per 404 giorni a Melbourne, in Australia, nel suo libro di memorie recentemente dato alle stampe, “Prison journal”, ha affrontato la delicata e fondamentale questione, che segna profondamente l’attualità della Chiesa.
Passando in rassegna i dolorosi giorni della sua ingiusta detenzione, infatti, Pell entra nel merito della situazione aperta con il “caso” Ratzinger. Dopo le sue sconvolgenti dimissioni, infatti, nella Chiesa si è aperta una questione su cui nessuno è riuscito a tirare le somme.
Benedetto XVI, infatti, dopo la sua rinuncia ha continuato ad indossare l’abito bianco, ad abitare a San Pietro, ad essere appellato “Santità”, o “Santo Padre”. A firmare con la dicitura “Benedictus XVI Papa emeritus“. Senza contare poi la decisione di Papa Francesco di essere il primo Pontefice a non indossare l’anello Piscatorio appartenuto al precedente successore di Pietro, ma ad indossarne uno in argento, come quando era ancora cardinale.
L’anello di Papa Benedetto XVI, in seguito alla rinuncia, non è mai stato fuso come accadeva in precedenza, quando il camerlengo dichiarava “Vere Papa mortuus est”. Ma è stato solamente marchiato con una croce, annullando la possibilità che possa essere utilizzato.
Un fatto che ha dato anche vita a molti interrogativi, come quelli posti dal giornalista Saverio Gaeta nel libro “La profezia dei due papi“, testo in cui rievoca le profezie di Malachia e Nostradamus che parlavano, secoli addietro, dell’arrivo di un ultimo Pontefice, il Papa nero.
L’Anello del Pescatore è infatti il simbolo che ogni Pontefice legittimo successore di Pietro indossa durante il suo pontificato, e viene detto in questo modo perché Pietro è l’apostolo pescatore che, avendo avuto fede nella parola di Gesù, ha tratto a terra le reti dalla barca in cui avvenne la pesca miracolosa riportata nelle Sacre Scritture.
Questi segni, perciò, fin dal 2013 interrogano la Chiesa in profondità. Il cardinale Pell, noto per la sua schiettezza, non ci gira quindi intorno. Così risponde a chi sostiene che il Papa emerito non debba essere reinserito nel collegio cardinalizio, oppure non possa indossare la tonaca papale bianca o insegnare pubblicamente.
La presenza parallela di due papi, sostengono in particolare quegli esperti che non nutrono simpatia nei confronti del Pontefice emerito, potrebbe generare confusione nella Chiesa. Minando l’unità della Chiesa, oltre a dare vita a ricostruzioni improvvisate o a fiction televisive di successo.
Su questo tema il cardinale Pell ha riflettuto a lungo nei suoi giorni di prigionia. Fino a giungere a una conclusione. Il pericolo, secondo il porporato, ci sarebbe soltanto nel momento in cui questa figura continuasse a non essere regolata dal punto di vista del diritto canonico. Per questo, è la tesi a cui arriva Pell, potrebbe essere auspicabile una riforma canonica che delinei con chiarezza la figura del Papa emerito.
“Sono favorevole alla tradizione millenaria che i papi non si dimettono, che continuano fino alla morte, perché questo aiuta a mantenere l’unità della Chiesa. I progressi nella moderna medicina hanno però complicato la situazione, consentendo che i papi di oggi e di domani possano vivere probabilmente più a lungo dei loro predecessori, anche quando la loro salute sia molto indebolita”, scrive Pell nel suo libro.
Prima della conclusione: “Occorre che i protocolli sul ruolo di un papa che si sia dimesso vadano chiariti, per rafforzare le forze dell’unità. Sebbene il papa in pensione possa mantenere il titolo di “papa emerito”, dovrebbe essere reinserito nel collegio cardinalizio in modo da essere conosciuto come “Cardinale X, papa emerito”.
Nel 2017 era stato monsignor Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia, ad entrare nel merito della questione generando un forte dibattito. Intervenendo a Roma, presso la
Pontificia Università Gregoriana, alla presentazione di un libro sulla rinuncia di Ratzinger e l’elezione di Bergoglio, Gänswein affermò che Benedetto XVI “non ha ha affatto abbandonato l’ufficio di Pietro”.
Ma diversamente ne ha fatto “un ministero allargato, con un membro attivo e un membro contemplativo”, il tutto all’interno di “una dimensione collegiale e sinodale, quasi un ministero in comune”. “L’11 febbraio 2013 Benedetto ha introdotto la nuova istituzione del Papa emerito, la cui parola chiave è munus petrinum, ministero petrino”, affermava l’arcivescovo tedesco in quella occasione.
Specificando che Benedetto XVI ha così “inteso il suo compito come partecipazione, integrando il ministero con una dimensione collegiale di cooperatores veritatis, che è un plurale: come nella terza lettera di Giovanni, noi dobbiamo accogliere le persone per diventare cooperatori della verità”.
Per questo Ratzinger, concludeva il Segretario particolare del Papa emerito, “ha arricchito la centralità nella preghiera facendo un passo di lato: con un atto di straordinaria audacia ha rinnovato questo ufficio e lo ha potenziato”.
Francesco Gnagni
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