Ma non sembra anche a voi che il mondo giri al contrario?
Soprattutto in certi giorni, si ha questa impressione, quando si leggono certe notizie sui giornali: a Roma, nella Capitale italiana, è accesa polemica, per l’esposizione di un cartellone gigante, che presenta un embrione e uno slogan antiabortista: “E ora sei qui perché tua mamma non ti ha abortito”.
E’, dunque, un abuso, oggi a Roma, testimoniare e difendere la vita?
L’Associazione ProVita è responsabile di questa affissione, che ha suscitato sdegno, addirittura, tra le forze politiche, nonché commenti negativi sui Social, tanto che qualcuno ha già richiesto, alla Raggi, di provvedere a rimuovere il cartellone.
Perché mai? Si ha forse paura che le neo mamme ritrovino la ragione e si rendano, finalmente, conto che un’interruzioni di gravidanza corrisponde ad uccidere il proprio bambino?
Ecco l’hashtag della Senatrice del Pd Monica Cirinnà #rimozionesubito, mentre i commenti dicono: “un ricatto morale”, “una vergogna”, “peggio dei talebani”, “benvenuti nel Medioevo”.
A contrastare l’iniziativa antiabortista ci sono, in prima linea, le consigliere del comune di Roma del Pd Michela Di Biase, Valeria Baglio, Ilaria Piccolo, Giulia Tempesta e Svetlana Celli della Lista Civica.
Assurdo, davvero, che la “misura” della considerazione della vita sia ridotta a questo, ad accusare l’Associazione ProVita di “esposizioni pubblicitarie dal contenuto lesivo del rispetto di diritti e libertà individuali”.
L’ intenzione, invece, era di usare quel cartello per riflettere sulla legge 194, sull’interruzione di gravidanza, dopo 40 anni dalla sua approvazione.
La vita, pertanto, cercava di essere gratificata, in 7×11 metri (le dimensioni del cartellone), con delle scritte che dicono solo la verità: “il tuo cuore batteva già dalla terza settimana dopo il concepimento”, “già ti succhiavi il pollice”, “tutti i tuoi organi erano presenti”, “tu eri così a 11 settimane”.
Il Presidente di ProVita Toni Brandi, ora, dice: “Il maxi manifesto di Roma riporta l’attenzione sulla violenza e il dramma di una condanna a morte prima di nascere”, questa la realtà.
Antonella Sanicanti