La vita del piccolo Alfie Evans, ricoverato all’Alder Hay Children Hospital di Liverpool, potrebbe essere interrotta da un momento all’altro. La decisione sull’eventuale continuazione del supporto vitale spetta all’alta corte inglese e la speranza che la decisione del giudice contrasti quella del personale medico è riposta in quei video postati dal padre in cui Alfie mostra a tutto il mondo reazioni agli stimoli esterni. La possibilità che il bambino venga tenuto in vita, dunque, è bassa poiché c’è bisogno di una diagnosi medica che accerti le possibilità di un miglioramento, ma la speranza non deve essere abbandonata.
In attesa che sul caso venga presa una decisione definitiva ‘Avvenire‘ ha intervistato il dottor Picardo, esperto rianimatore del Bambin Gesù di Roma, per comprendere fino a che punto si possa parlare di cure lecite e qual è il limite da non superare per non sconfinare nell’accanimento terapeutico. A riguardo il medico spiega che le terapie vanno effettuate finché la letteratura medica permette di vedere un barlume di speranza per il paziente: “I limiti della medicina si sono spostati molto in avanti. Noi possiamo utilizzare terapie avanzate nei casi in cui ovviamente queste terapie siano utili. Anche la terapia più evoluta deve essere sempre commisurata alle condizioni del paziente e alla sua prognosi. Nel caso, per esempio, di un tumore al polmone se la chemioterapia si è rivelata inefficace e inutile la si sospende, sempre ovviamente coinvolgendo e accompagnando la famiglia in questa decisione”.
Data l’affermazione sull’utilità della cura, l’intervistatore chiede se ci sono dei presupposti medici che possono consentire l’interruzione del supporto vitale e questo ha risposto seccamente: “Noi non possiamo procurare la morte, quindi nel momento in cui c’è un supporto vitale non lo interrompiamo, se serve appunto a mantenere in vita il paziente, perché altrimenti in quel modo si procura la morte”, quindi parlando dei casi di malattie terminali ha aggiunto: “Il medico non è padrone della vita e della morte. Non è il medico che sceglie il momento in cui l’essere umano muore. Se il paziente è terminale, si accompagna lui e la famiglia sostanzialmente per tutto il decorso della malattia ma non si applica alcuna manovra per abbreviarne i tempi”.
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