In Gran Bretagna è scoppiato un singolare caso di “pedofilia femminile”, ma nessuno vuole far sapere la “scomoda” identità del colpevole.
Ciò che è accaduto in Gran Bretagna è alquanto singolare. Julie Marshall, come riporta il portale di Pro Vita e Famiglia, è stata condannata a nove mesi di carcere e 10 anni di misure restrittive.
Le accuse si riferiscono al fatto che Julie Marshall avrebbe utilizzato il wifi dell’ospedale presso cui lavora per visualizzare un archivio di migliaia e migliaia di immagini di violenze su bambini. Molte di queste immagini sono state scattate da lei stessa. Eppure, come riporta la fonte, nessuno dei media ha riportato la realtà dei fatti. Non si tratta di pedofilia femminile, dal momento che Julie Marshall, fino a poco tempo fa, era John Robert Marshall.
Il problema della detenzione
Dal caso appena citato, si può anche comprendere la problematica posta dal giudice Newell rispetto al luogo di detenzione di Julie Marshall. Effettivamente, nel Regno Unito, la legge consente di utilizzare come luogo di detenzione per i trans le carceri femminili. Il portale di Pro Vita e Famiglia parla di alcune problematiche sorte proprio su questo tema. Le problematiche si riferiscono a diversi episodi di violenza nei confronti delle detenute.
Pedofilia femminile o negazionismo?
Dunque, se fino a questo momento, il caso appena citato è passato come caso di “pedofilia femminile”, si può attestare che, in realtà, di questo non si tratta. O, per meglio dire, i media inglesi, come riferisce la fonte, hanno seguito alla lettera le indicazioni della Trans Journalists Association, ovvero riferendosi a Julie Marshall secondo il suo “sesso attuale”. Ma, al tempo stesso, i media hanno “ignorato e ridefinito” la realtà, omettendo completamente che alle spalle di Julie Marshall ci fosse John Robert Marshall.
F.A.
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