Per molti purtroppo il Natale non sarà così gioioso e pieno di attese come quelli precedenti , non perchè cambi qualcosa a livello storico e nemmeno a livello religioso, ma più semplicemente perchè è venuta a mancare una persona a noi cara, e allora tutto ci sembra diverso viene meno meno la voglia di festeggiare e di pensare ai regali, di addobbare l’albero di Natale, di fare il presepe. Ci sembra che il mondo ci crolli addosso e perfino ci infastidisce vedere gli altri fare tutte queste cose con gioia e allegria. Tutto quello che prima ci sembrava scontato ora non è lo più, e allora che cosa fare come reagire ad uno stato di apatia e di tristezza che ci opprime e ci angoscia. Per cercare di vedere la situazione anche da un’altro punto di vista proponiamo il discorso di Papa Francesco che ci aiuta a comprendere come anche un evento doloroso e traumatico si può trasformare attraverso la fede in un momento di grazia.
Di seguito, ampi stralci della catechesi del Papa, che commenta l’episodio del figlio della vedova di Naim che Gesù riporta alla vita restituendolo alla madre:
“E’ una scena molto commovente, che ci mostra la compassione di Gesù per chi soffre – in questo caso una vedova che ha perso l’unico figlio – e ci mostra anche la potenza di Gesù sulla morte. La morte è un’esperienza che riguarda tutte le famiglie, senza eccezione alcuna. Fa parte della vita; eppure, quando tocca gli affetti familiari, la morte non riesce mai ad apparirci naturale. Per i genitori, sopravvivere ai propri figli è qualcosa di particolarmente straziante, che contraddice la natura elementare dei rapporti che danno senso alla famiglia stessa. La perdita di un figlio o di una figlia è come se fermasse il tempo: si apre una voragine che inghiotte il passato e anche il futuro”. È “uno schiaffo – prosegue Francesco – alle promesse, ai doni e sacrifici d’amore gioiosamente consegnati alla vita che abbiamo fatto nascere. Tante volte vengono a messa a Santa Marta genitori con la foto di un figlio, di una figlia, bambino, ragazzo, ragazza, e mi dicono: ‘Se n’è andata”. E lo sguardo è tanto addolorato. La morte tocca e quando è un figlio tocca profondamente”.
Qualcosa di simile, osserva il Papa, “patisce anche il bambino che rimane solo, per la perdita di un genitore, o di entrambi. Quella domanda: ‘Ma dov’è papà? Dov’è mamma?’… Questa domanda che copre un’angoscia nel cuore del bambino o la bambina. Rimane solo. Il vuoto dell’abbandono che si apre dentro di lui è tanto più angosciante per il fatto che non ha neppure l’esperienza sufficiente per “dare un nome” a quello che è accaduto. ‘Quando torna papà? Quando torna mamma?’. Cosa si risponde? E il bambino soffre”.
Quel “buco nero” che “si apre nella vita delle famiglie e a cui non sappiamo dare alcuna spiegazione” talvolta – afferma il Papa – porta “persino a dare la colpa a Dio”. “Io li capisco – ha commentato a braccio Francesco – si arrabbia con Dio, bestemmia… ‘Perché mi hai tolto il figlio, la figlia? Ma Dio non c’è, Dio non esiste! Perché ha fatto questo?’…”
E tuttavia, riconosce Francesco – “la morte fisica ha dei ‘complici’ che sono anche peggiori di lei, e che si chiamano odio, invidia, superbia, avarizia” e che la rendono “ancora più dolorosa e ingiusta” perché gli “affetti familiari appaiono come le vittime predestinate e inermi di queste potenze ausiliarie della morte, che accompagnano la storia dell’uomo. Pensiamo all’assurda ‘normalità’ con la quale, in certi momenti e in certi luoghi, gli eventi che aggiungono orrore alla morte sono provocati dall’odio e dall’indifferenza di altri esseri umani. Il Signore ci liberi dall’abituarci a questo!”.
Poi, il Papa è passato a considerare il lutto nell’ottica della fede, per cui “la morte non ha l’ultima parola”. Tutte le volte “che la famiglia nel lutto – anche terribile – trova la forza di custodire la fede e l’amore che ci uniscono a coloro che amiamo, essa impedisce già ora, alla morte, di prendersi tutto. Il buio della morte va affrontato con un più intenso lavoro di amore”. “Nella luce della Risurrezione del Signore, che non abbandona nessuno di coloro che il Padre gli ha affidato, noi possiamo togliere alla morte il suo ‘pungiglione’, come diceva l’apostolo Paolo; possiamo impedirle di avvelenarci la vita, di rendere vani i nostri affetti, di farci cadere nel vuoto più buio”.
E in questa fede, esorta Francesco, “possiamo consolarci l’un l’altro, sapendo che il Signore ha vinto la morte una volta per tutte. I nostri cari non sono scomparsi nel buio del nulla: la speranza ci assicura che essi sono nelle mani buone e forti di Dio”. “Se ci lasciamo sostenere da questa fede, l’esperienza del lutto può generare una più forte solidarietà dei legami famigliari, una nuova apertura al dolore delle altre famiglie, una nuova fraternità con le famiglie che nascono e rinascono nella speranza”.
La fede inoltre, ribadisce il Papa citando Benedetto XVI, “ci protegge dalla visione nichilista della morte, come pure dalle false consolazioni del mondo, così che la verità cristiana ‘non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere, cedendo ai riti della superstizione, antica o moderna’.
“Non si deve negare il diritto al pianto, dobbiamo piangere nel lutto! – esclama il Papa, ricordando che anche Gesù ‘scoppiò in pianto’ e fu ‘profondamente turbato’ per il grave lutto di una famiglia che amava. Possiamo piuttosto attingere dalla testimonianza semplice e forte di tante famiglie che hanno saputo cogliere, nel durissimo passaggio della morte, anche il sicuro passaggio del Signore, crocifisso e risorto, con la sua irrevocabile promessa di risurrezione dei morti. Il lavoro dell’amore di Dio è più forte del lavoro della morte. E’ di quell’amore, è proprio di quell’amore, che dobbiamo farci “complici” operosi, con la nostra fede! E ricordiamo quel gesto di Gesù: ‘E Gesù lo restituì a sua madre’, così farà con tutti i nostri cari e con noi quando ci incontreremo, quando la morte sarà definitivamente sconfitta in noi. Lei è sconfitta dalla croce di Gesù. Gesù ci restituirà in famiglia a tutti”.
al termine dei saluti, il Papa ha ricordato che domani sarà pubblicata l’Enciclica sulla cura della “casa comune” che è il creato. “Questa nostra “casa” – ha detto – si sta rovinando e ciò danneggia tutti, specialmente i più poveri. Il mio è dunque un appello alla responsabilità, in base al compito che Dio ha dato all’essere umano nella creazione: ‘coltivare e custodire’ il ‘giardino’ in cui lo ha posto (cfr Gen 2,15). Invito tutti ad accogliere con animo aperto questo Documento, che si pone nella linea della dottrina sociale della Chiesa”.