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Chiesa cattolica e migranti (prima parte)

La Chiesa e i migranti

Chiesa cattolica e migranti: la nascita del governo “gialloverde” e l’arrivo dell’estate hanno posto nuovamente e con forza la questione. Da un lato, i proclami sovranisti del nuovo ministro degli Interni Matteo Salvini, dall’altro il monito di parte della gerarchia ecclesiastica e del mondo cattolico che invece fa intendere che non saranno tollerate politiche di chiusura. Mentre scrivo, la nave Acquarius, appartenente ad una ONG, con centinaia di migranti a bordo ha ricevuto un rifiuto governativo ad attraccare nei porti italiani. Si tratta di un fatto inedito che porterà a conseguenze del tutto sconosciute: per noi, per l’Europa, per i migranti.

I moralisti che stanno sempre dalla parte giusta e che hanno sempre ragione hanno su questo tema (beati loro) le idee chiare come non mai: gli intellettuali che dall’alto del loro loft a New York o dalla quiete della loro villa in Toscana sono sempre dalla parte più dei deboli e dei più poveri dicono che bisogna aprire le frontiere senza se e senza ma, senza restrizioni.

Per capire di chi stiamo parlando: quando nell’estate del 2016 si era deciso di portare 50 (cinquanta) richiedenti asilo a Capalbio, il buen retiro della sinistra radical chic, quella dove i suddetti intellettuali si rifugiano “dalla stolta plebe”che non la pensa come loro, il sindaco locale Luigi Bellumori (del PD) fece fuoco e fiamme per farli mandare altrove. Perché? «Qui ci sono ville di gran lusso, è l’area più residenziale della perla della Maremma»; insomma si rischiava di vedere svalutati immobili di gran pregio… In pratica: accoglienza sì, ma a casa degli altri, magari in qualche periferia urbana già bella degradata di suo…

Sull’onda della figuraccia mediatica, invece di 50 ne arrivarono comunque 15 ma, possiamo dirlo, ormai si era capito il vero pensiero di certi signori con il cuore a sinistra e il portafogli a destra.

Di fronte ad una questione così complessa, come ci rapportiamo invece noi cristiani?

«Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. 35Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi».

Le parole di Nostro Signore sono eloquenti: nel Vangelo di Matteo, parlando della Parusia, della sua seconda venuta, afferma che il Cristo giudice dell’umanità soppeserà le vite di ognuno di noi in base a sei semplici gesti. Non intendiamo fare della facile esegesi, ma di fronte a queste parole c’è ben poco da aggiungere: altro che Saviano, Fabio (Fazio&Volo), Jovanotti e compagnia cantante: su questo tema il Vangelo (per quel che ci riguarda specie ai versetti 35-36) ha delle parole nette, chiare, di fronte alle quali non ci si può girare dall’altra parte o peggio ricavare un’interpretazione contraria al senso letterale del testo. L’accoglienza è un dovere, in quanto cristiani siamo tenuti a darci da fare per accogliere i nostri fratelli nel bisogno.

Il magistero della Chiesa all’interno del Catechismo precisa ed attualizza la questione. In questo testo, nella sua buona dose di realismo politico, la Chiesa (impegnata in prima fila tramite le sue associazioni) dà alcune indicazioni non per limitare, ma per realizzare meglio l’imperativo dell’accoglienza. Di migranti si parla al canone 2241:

«Le nazioni più ricche sono tenute ad accogliere, nella misura del possibile, lo straniero alla ricerca della sicurezza e delle risorse necessarie alla vita, che non gli è possibile trovare nel proprio paese di origine. I pubblici poteri avranno cura che venga rispettato il diritto naturale, che pone l’ospite sotto la protezione di coloro che lo accolgono. Le autorità politiche, in vista del bene comune, di cui sono responsabili, possono subordinare l’esercizio del diritto di immigrazione a diverse condizioni giuridiche, in particolare al rispetto dei doveri dei migranti nei confronti del paese che li accoglie. L’immigrato è tenuto a rispettare con riconoscenza il patrimonio materiale e spirituale del paese che lo ospita, ad obbedire alle sue leggi, a contribuire ai suoi oneri».

Un testo di buon senso, contenente indicazioni di massima in cui sono precisati diritti e doveri di chi è tenuto ad accogliere e chi è accolto. In sostanza, l’accoglienza è parametrata alle effettive capacità dei Paesi ospitanti. Non sempre però alti esponenti di Chiesa sembrano aver compreso lo spirito del magistero su certe tematiche (si veda in proposito la seconda parte di questo articolo).

Chiarite le questioni dottrinali, vediamo ora i numeri: alla vigilia del momento più intenso dal punto di vista dei flussi, perché le condizioni climatiche rendono favorevoli gli sbarchi, ad oggi nel 2018 sono sbarcati 13.808 migranti[1]. Ragionando su numeri più completi e di lungo termine, possiamo dire che l’esplosione nei flussi si è avuta a partire dal 2014[2]. Secondo la legge italiana, chiunque arriva nel nostro Paese per motivi di lavoro deve farlo nel rispetto del “decreto-flussi” annuale che prevede dettagliatamente gli ingressi dai singoli paesi che non fanno parte della UE. È evidente però che i casi che qui ci interessano non sono ingressi per motivi di lavoro; infatti si traducono nella quasi totalità dei casi in richieste di asilo: in che cosa consiste? L’articolo 10, terzo comma, della Costituzione prevede che «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». Il diritto di asilo non coincide necessariamente con lo status politico di “rifugiato”: in quest’ultimo caso chi ne fa richiesta deve dimostrare di aver subito (o di correre seriamente il rischio di subire) persecuzioni e/o discriminazioni per motivi razziali, religiosi, politici, sociali, etnici e non può tornare nel proprio paese di origine senza il timore fondato di subire persecuzioni[3]. Sempre a proposito di definizioni, esiste poi una netta differenza tra profugo e migrante: il primo è costretto a fuggire dalla propria patria per cause di forza maggiore quali guerre, carestie, rivolte, calamità naturali. Il migrante invece ha scelto deliberatamente di andarsene dalla sua terra alla ricerca di condizioni di vita migliori: la storia italiana conosce nello specifico questo fenomeno, che ha visto milioni di nostri connazionali andare nei cinque continenti per dare un futuro migliore a sé stessi e ai propri cari. Infine, è clandestino colui che è stato raggiunto da un provvedimento di espulsione ma continua a rimanere nel Paese ospitante. Un esempio è dato da coloro che fanno richiesta per ottenere lo status di rifugiato e la vedono respingere dai giudici: in questo caso segue il provvedimento di espulsione, che se non viene rispettato provoca l’automatica condizione di clandestinità. In tal senso, il recente decreto Minniti ha accelerato i tempi di espulsione e di analisi delle richieste per ottenere l’asilo o lo status di rifugiato politico. Tornando ai dati ufficiali forniti dal ministero dell’Interno, negli ultimi tre anni sono entrati in Italia oltre 337.000 richiedenti asilo. Si tratta di numeri enormi, che hanno intasato gli uffici preposti a raccogliere, studiare ed eventualmente accettare queste richieste con un allungamento spropositato di permanenza nei vari centri di accoglienza[4]. La domanda è: siamo in grado di gestire questi numeri? Possiamo dare effettivamente un futuro migliore a queste persone e garantire allo stesso tempo il rispetto delle più elementari condizioni di rispetto della sicurezza nazionale?

Alessandro Ludadio

 

[1] http://www.interno.gov.it/sites/default/files/cruscotto_statistico_giornaliero_08-06-2018.pdf. Per lo stesso periodo erano 61285 nel 2017 e 49212 nel 2016, il flusso dunque è in netto calo.

[2]Fonte:http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/quaderno_statistico_per_gli_anni_1990-2017_ok.pdf.

[3] La lista delle motivazioni è contenuta nell’art. 1 sez. C della Convenzione di Ginevra.

[4] In questo senso vanno distinti i CPSA, centri di primo soccorso e accoglienza, che ospitano gli stranieri al momento del loro arrivo in Italia: qui i migranti vengono assistiti a livello medico se necessario, vengono rifocillati e fotosegnalati, fanno richiesta di accoglienza (in Italia ne esistono 4). Altra cosa sono i CDA (centri di accoglienza) e i CARA (centro di accoglienza per richiedenti asilo), dove i migranti restano per il periodo necessario alla loro identificazione; vista la quasi unanime mancanza di documenti e l’aumentato volume di richieste, la permanenza media in queste struttura arriva a oltre un anno. Coloro la cui richiesta è stata bocciata vengono trattenuti nei CIE, centri di identificazione ed espulsione, dove attendono l’esecuzione del relativo provvedimento da parte delle forze dell’ordine.

Armando

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