L’Associazione italiana “A Buon Diritto” (ABD) ha pubblicato un rapporto sui cristiani in Cina. da questo rapporto si è scoperto un mondo sconosciuto. Circa 60.000 cinesi ogni anno fuggono dalla Cina, perdendo e lasciando tutto nel loro paese per poter praticare la religione Cristiana e non essere costretti ad abbandonare la loro, per non essere perseguitati. Molti vengono in Italia. Pochi chiedono lo status di rifugiati, anche perché l’Onu stessa non riconosce il pericolo che loro corrono in Cina.
Le storie sono di terribile sofferenza e tutte per amore di Gesù, per la gioia da non perdere nel cuore di aver trovato l’amore, la pace e la speranza vera. Alcuni di loro hanno persino rinunciato alla propria famiglia, a marito o moglie e figli, pur di poter rimanere fedeli alla professione della loro fede trovata. Altri sono sottoposti a torture atroci nel corpo, come acqua bollente sulla pelle, o tagli nella schiena con lamette, o ancora picchiati con bastoni fino a distruggere loro organi interni. Insomma, nel Nome di Gesù, patiscono patimenti simili al Redentore. Eppure queste sono storie dimenticate o ignorate, non solo dai media, ma anche dai fratelli nella fede, che con la preghiera potrebbero sostenere questo fiorire di credenti fedeli fino alla morte, disposti al martirio.
Ovviamente, in un mondo che ha ucciso Dio, non c’è un vero riconoscimento della sofferenza patita, e inflitta dal governo stesso, a questi loro connazionali. Così, pur essendo folto il numero di cinesi richiedenti asilo, rimangono pochi quelli a cui viene riconosciuto lo status di rifugiato. L’European asylum support office (Easo) riporta che “la nazionalità cinese è una di quelle con il più basso tasso di riconoscimento”.
Francesco Portoghese, della ABD è uno degli autori del rapporto, riferisce che nel 2016 solo il 5% delle domande d’asilo ha ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato. Ovvero, 13 risposte positive contro 264 negative.
Intanto, altri combattono la loro battaglia per la fede in Cina. Ci riferisce AsiaNews che la chiesa di Wangcun, dedicata a santo Stefano, e il terreno circostante, dopo decenni è stata riconsegnata nel 2012 alla diocesi in obbedienza alle leggi cinesi. I fedeli hanno cominciato il restauro, ma pochi mesi fa il governo locale ha deciso di espropriare il terreno per costruire una piazza. Alcuni fedeli temono che oltre al terreno, sarà sequestrata (e distrutta) anche la chiesa per far posto a progetti edilizi molto remunerativi.
Due giorni fa il governo ha cominciato la demolizione di un muro di cinta, ma è stato fermato dalla pressione di almeno 1000 fedeli e sacerdoti. Teppisti, soldati e poliziotti hanno picchiato con severità alcuni preti e laici. Dopo le violenze, il capo del villaggio ha fermato le demolizioni, ma i bulldozer sono rimasti nelle vicinanze.
I fedeli hanno deciso di mantenere il sit-in giorno e notte. La notte scorsa vi erano ancora centinaia di fedeli a pregare e cantare il rosario. Per le prossime notti essi hanno programmato turni di almeno 10 persone.
Il vescovo della diocesi, mons. Pietro Ding Lingbin, tiene il dialogo con le autorità, ma finora non si è giunti ad alcuna conclusione soddisfacente per i fedeli. Stamane il vescovo ha incontrato il capo dell’Ufficio affari religiosi della zona.