I santi ci danno un grande aiuto, loro che non passano mai di moda perché vanno alla ricerca di cose eterne: ecco perché sono sempre attuali. Intervista con Giuseppe Signorin.
“Cose_eterne. Santi, Madonne, Youtuber e altre forme di vita”. Un titolo che è tutto un programma per l’ultimo libro di Giuseppe Signorin, che insieme alla moglie Anita Baldisserotto (che ha supervisionato il testo) forma la wedding band Mienmiuaif.
Raccontare i santi con sense of humour
Giuseppe ci racconta i santi con umorismo e profondità, accompagnando tutto con una scrittura frizzante e la capacità di scovare analogie sorprendenti. L’effetto è quello di rendere i santi figure estremamente attuali, oltre che attraenti.
Quello dei santi è un filone fecondo che caratterizza la collana UomoVivo (di cui Giuseppe è curatore) della Berica editrice, per la quale è uscito Cose_Eterne. Del resto basta sfogliare alcuni titoli, anche recenti, per averne la prova: “Santi ribelli”, “I santi hanno un cuore selvaggio”, “Il cibo e i santi”.
Ne abbiamo parlato proprio con l’autore, Giuseppe Signorin.
Giuseppe, il tuo libro direi che parla un bel po’ di santi. E si intitola “Cose_eterne”. Mi pare di capire che per te la santità vuol dire soprattutto avere uno sguardo lungo. Perfino oltre il tempo stesso. Santità fa dunque rima con eternità?
Vedo i santi come maestri di eternità. Le loro vite sono spesso incomprensibili se lette solo in una prospettiva terrena. Per esempio i santi giovani: nel libro si parla di Gabriele dell’Addolorata, Carlo Acutis, Teresa di Lisieux e addirittura di una bambina di tre anni, Sara Mariucci. Come possono esistenze così brevi essere al contempo tanto significative e importanti? Lo stesso discorso vale per i santi, o testimoni, con malattie devastanti, che da un punto di vista umano potrebbero essere considerati dei perdenti, degli scarti. Ma il Vangelo ribalta le nostre idee e “allunga” il nostro sguardo, come dici tu.
Mi viene in mente quel miliardario americano di 45 anni che vuole tornare ad averne 18. E lo fa investendo una marea di soldi, oltre a sottoporsi a una serie di cure maniacali. Curioso che in un mondo che fa di tutto per allungarsi la vita i santi ci dicano, al contrario, che per essere sempre giovani bisogna allungare lo sguardo e puntare all’eternità. Sono loro i veri trasgressivi oggi?
Se ha ragione la Chiesa, un orizzonte limitato alla vita terrena, oltre a essere monco è irrealistico. Se c’è vita dopo la morte fisica cambia tutto. Mi dispiace quindi per il miliardario Peter Pan. Sulla trasgressione dei santi, direi che oggi sono degli alieni a confronto con i modelli dominanti. Forse non abbiamo nemmeno più le categorie per comprenderli e questo complica le cose. I santi vanno ammirati, più ancora che imitati. Non tutti infatti siamo chiamati alla stessa missione, ma tutti possiamo nutrirci delle loro vite. Abbiamo un po’ perso quest’attitudine, di guardare con ammirazione, di contemplare, senza l’ansia di scimmiottare. Ognuno di noi è un originale, non una fotocopia, citando Carlo Acutis.
Ecco, hai parlato di originalità. Un’altra parola chiave del tuo libro. Dove, ammettiamolo, ti piace vincere facile dato che la prima cosa che leggo (dopo titolo e sottotitolo ovviamente) è questa meravigliosa frase di un certo Joseph Ratzinger: «L’arte e i santi sono la più grande apologia della nostra fede». E scusate se è poco. Il santo dunque è un creativo? È per questo che dovrebbe suscitare ammiratori, più che fotocopiatori?
Il santo non può che essere creativo, vivendo a così stretto contatto col Creatore. È la vicinanza al Creatore che ci fa esprimere nella nostra unicità: lui ci conosce meglio di noi stessi. Infatti i santi sono diversissimi tra di loro. Se uno della Chiesa guarda solo i “Giuda”, sport piuttosto diffuso, non può che averne un’opinione bassa; se invece fa lo sforzo di puntare i riflettori su chi ha incarnato il Vangelo in maniera esemplare, può darsi che le sue idee cambino. Le vite dei santi sono veramente un forte indizio dell’esistenza di Dio. E mi riferisco sia agli eventi miracolosi sia alle virtù in certi casi esercitate in modi umanamente impossibili.
Qualcuno ha detto che i santi sono un “quinto vangelo” infatti. Per essere originali bisogna tornare all’Origine insomma. Sempre nel tuo libro, giustamente, adatti allo scopo il famoso quadro di Géricault e parli dei santi come «alienati con monomania dell’eterno». Come a dire che camminare nella luce fa bene anche alla salute mentale, altro tema di grande attualità in un Paese come il nostro dove si consumano psicofarmaci come caramelle… Eppure c’è chi pensa che siano i santi a essere dei personaggi tristi.
Credo abbia a che fare col senso della vita. I santi hanno capito quello che gli altri non hanno capito, e quando si ha coscienza di chi si è – miseri peccatori, polvere, ma anche figli di Dio, suoi capolavori – si attraversa l’esistenza in maniera diversa. Soprattutto i santi sono concentrati più su Dio che su se stessi. Che poi è un po’ lo scopo di questo libro, che nelle intenzioni è un tentativo di spostare lo sguardo da noi stessi e riflettere su Dio e sulle cose alla luce di Dio.
Sarà anche per questo che si vede in giro tanta voglia di “normalizzare” i santi? Ma basta scorre l’indice del tuo libro per leggere titoli come “Carlo Acutis non era normale per niente” o “San Girolamo era un ultrà”. Non è che i santi sono personaggi piuttosto scomodi? In ogni caso certo non figure da santino.
Esatto, sì. C’è un capitolo in cui li paragono alle rockstar più estreme, a cui in effetti, almeno alcuni, somigliano di più che alle immaginette un po’ troppo mielose a cui siamo abituati. Nulla contro i santini, in realtà, sono anzi pro santini e pro devozioni, però di sicuro un certo tipo di narrazione che si fa attorno ai santi è poco realistica e probabilmente dannosa.
D’altronde se pensiamo, come ricordi tu stesso, che possiamo considerare San Francesco di Paola (XV secolo) come il vero inventore del surf…
È un segreto che svelo in anteprima assoluta, finora nessuno lo sapeva… Però tra tutte le figure di santi di cui racconto qualcosa ne svetta una, indubbiamente: mia moglie Anita. Nel libro infatti è – dopo Nostro Signore – la presenza più importante e ricorrente.