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Come si sconfigge la tentazione?

<Nessuno mentre è tentato dica: “Vengo tentato da Dio”. Dio è infatti immune dal male ed Egli non tenta nessuno. Ciascuno invece è tentato, adescato e sedotto dalla sua concupiscenza. E allora la concupiscenza concepisce e dà alla luce il peccato e il peccato, giunto alla sua pienezza, genera la morte> (Gc 1,13-15).
Queste parole di Giacomo, la dicono lunga su quelle che sono le dinamiche della tentazione.
Cominciamo col dire che nessun uomo è esente dalla tentazione: ognuno di noi, lungo il corso della propria vita, è costantemente in lotta per poter dominare le proprie passioni (la propria concupiscenza) e non diventarne schiavo. Gesù stesso si lasciò tentare nel deserto: Satana doveva sapere che tentare Dio era un’impresa inutile, ma evidentemente non riuscì a resistere alla “tentazione”. Si sarà detto: <Se riesco a far capitolare l’uomo-Dio, allora verrà meno il metro di misura, la linea di confine che separa il bene dal male: tutto si confonderà e non ci sarà più il “garante” di questa dicotomia>. Ma così non fu: l’uomo-Dio non è capitolò, riconfermando il concetto secondo il quale in Lui tutto è santo. E poi il diavolo cosa avrebbe potuto offrire a Dio che Dio desiderasse e non avesse già?
Ogni uomo, quindi, è soggetto alla tentazione, e sappiamo anche che la tentazione non viene da Dio. Se la tentazione, però, non viene da Dio, perché Dio la permette? La nostra vita è una “prova”, e Dio permette la tentazione per provare la nostra fede e il nostro amore per lui.
PERCHÉ DIO CONSENTE CHE VENIAMO SOTTOPOSTI A PROVA? CHE BISOGNO HA DI “PROVARCI”?
Così come anche per gli angeli (e i demoni), anche noi abbiamo il “libero arbitrio“: nessuno mai potrà costringerci a commettere un solo peccato, se noi non lo vogliamo. Satana può fare ricorso a tutte le sue astuzie, a tutte le sue seduzioni, a tutto il suopotere, ma non potrà mai costringerci a commettere un solo peccato. Detto questo, che senso ha il fatto che Dio ci sottoponga a “prova”? Non potrebbe accoglierci direttamente in Paradiso senza alcuna prova da superare?
Per rispondere a questa domanda c’è bisogno di una piccola premessa. Noi sappiamo che alla fine della nostra vita saremo giudicati istantaneamente e, a seconda dei meriti, ammessi in Paradiso, Purgatorio o Inferno. Ci dice, infatti, il Catechismo della Chiesa Cattolica al n°1022:
“Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre”.
Dio, nella sua onnipotenza, si è incredibilmente posto un limite: avrebbe potuto creare un’umanità incondizionatamente adorante, ma non l’ha fatto. Dio ha dato a noi uomini il potere di scegliere se amarlo oppure no: questa possibilità sta nel fatto che possiamo decidere liberamente di commettere un peccato. Dio si ferma dinanzi alla nostra libertà di scelta: Dio non può imporci di amarlo.
Ma perché questo? Perché se Dio ci avesse “imposto” di amarlo incondizionatamente avrebbe limitato la nostra libertà, e così facendo non sarebbe stato ricambiato di una amore vero e sincero che è solo quello che scaturisce da una libera scelta. Dio è amore e desidera essere ricambiato! L’amore vero, tuttavia, è solo quello che matura all’interno di una scelta, e la tentazione è il mezzo che Dio permette per “provare” la bontà del nostro amore, per consentirci di dimostrarGli che lo amiamo veramente e liberamente.
Dio vuole il nostro amore, ma vuole che noi lo amiamo per scelta e non per imposizione. Noi uomini, con il libero arbitrio, disponiamo di un “potere” di fronte al quale Lui stesso si ferma. Amministrare questo potere – scegliere quotidianamente tra il bene e il male – però, comporta una “responsabilità” che ha delle conseguenze: chi sceglie il Male, si separa da Dio; chi sceglie il bene, invece, sceglie di amare Dio rimanendo a Lui unito.
Torniamo alla nostra domanda iniziale? Perché la tentazione? Per provarci. E perché la necessità della prova? Per darci la possibilità di amare Dio in piena libertà, dimostrando – attraverso il superamento della prova – la nostra autentica volontà di amarlo ricambiando il suo amore.
Ma c’è anche un’altra questione. Alla fine della nostra vita, ci sarà un giudizio immediato e particolare che decreterà la nostra “retribuzione” eterna: Paradiso, Inferno o Purgatorio. Non c’è dubbio che per coloro che avranno perseverato in una vita di amore fedele a Dio, la ricompensa sarà il Paradiso. Ma in Paradiso godremo tutti indistintamente della visione beatifica di Dio? La risposta è sì, ma con una differenza: ognuno di noi possiederà una capacità diversa di goderne. Mi spiego. Dio è un essere “infinito”, e questo comporta che quando noi creature “finite” saremo in Paradiso, non potremo godere in maniera “infinita” della sua visione, della sua gloria: semplicemente perché questo non sarà possibile (siamo esseri “finiti”). Quindi in Paradiso i Santi avranno diversi “gradi” di beatitudine. Per capire meglio quanto stiamo dicendo, dobbiamo rifarci a un esempio lasciatoci da Santa Teresa di Lisieux. In Paradiso – diceva la Santa – ognuno di noi sarà simile a un recipiente: c’è chi sarà come una brocca e chi sarà come un bicchiere… Tutti , però, saremo ricolmi fino all’orlo della gloria di Dio e tutti godremo di questa gloria in maniera totalmente appagante. Nessuno proverà invidia per qualcun altro che dovesse avere una maggiore capacità di “godimento”, perché ciascuno sarà completamente e totalmente soddisfatto: ciascuno, a seconda delle proprie capacità, sarà colmo fino all’orlo della gloria di Dio e non ne potrà desiderare di più, perché desiderarne di più significherebbe far traboccare il vaso, e dunque non poterne ricevere. Ma da cosa verrà ad essere determina questa nostra capacità di godere più o meno di Dio, della sua gloria? Semplice. Dalle virtù che avremo saputo far fiorire nella nostra anima durante il corso della nostra vita. Ed ecco che si ritorna al discorso della tentazione. Dio nella sua infinita saggezza, ha predisposto che sia ciascuno di noi a determinare, con le scelte della propria vita, il “grado” di gloria di cui godrà in Paradiso. Cedere alla tentazione e lasciarsi andare a una vita di peccato, significa rinunciare volontariamente all’amore di Dio, significa scegliere deliberatamente di non contraccambiare il suo infinito amore per noi…
MA COME SI PUÒ PECCARE, SAPENDO DI RINUNCIARE AL BENE PIÙ GRANDE: L’AMORE DI DIO
Qui entra in gioco il “falsario”, come lo chiama p. Livio Fanzaca (il direttore di Radio Maria). Il tentatore è subdolo: è abilissimo nel farci credere che il peccato, in verità, non sia altro che un bene desiderabilissimo, che nel peccato c’è più libertà che nel seguire i precetti di Dio, che gli insegnamenti di Dio – i suoi Comandamenti – non servono a nulla, che sono solo delle inutili restrizioni della nostra libertà… Ecco, nel momento della tentazione si insinua in noi l’idea che commettere quel determinato peccato, non sia, poi, così grave, che in fondo lo fanno tutti, che per lo più non c’è niente di male.
Quando stiamo per commettere un peccato, nella nostra mente quel peccato – che è un male! – si configura come un “bene” desiderabile. La nostra intelligenza, però, mantiene la consapevolezza che quel “bene”, è un bene effimero che in realtà porta con sé un autentico male: il peccato.
Il demonio è un maestro nel confondere le carte, nel falsare la verità. Dio glielo permette per sottoporci a prova, per permetterci di amarlo di un amore libero e incondizionato. Il demonio dal canto suo non aspetta altro:
“Simone, Simone, ascolta! Satana ha ottenuto il permesso di vagliarvi come si vaglia il grano” (Lc 22,31).
Ad ogni modo non dobbiamo temere il momento della tentazione: è Dio che ne stabilisce il tempo e l’intensità, e mai oltre le nostre possibilità.
“Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze” (1 Co 10,13).
Oltre a questo, il momento della tentazione rappresenta, se superata, un momento di grande grazia: uscire vittoriosi da una serie di tentazioni ci fortifica e ci fa crescere nelle Virtù rendendoci degni della regalità di Cristo. Se vinciamo nella lotta col Maligno, noi partecipiamo della gloria di Dio e in quanto suoi figli regniamo con lui. Alla stessa maniera, però, se soccombiamo nel momento della prova, fiacchiamo le nostre difese e se non ci rialziamo immediatamente – iniziando da un immediato atto di pentimento seguito da una santa confessione – rischiamo di non riuscire ad alzarci più.
“Chi fa il peccato è schiavo del peccato” (Gv 8,34).

COME SI VINCE LA TENTAZIONE?

“Vegliate e pregate affinché non entriate in tentazione” (Mt 26,41).
È Gesù stesso a darci la ricetta: bisogna pregare, è questa l’arma invincibile. Pregare. Chi prega attira su di sé le benedizioni del cielo; chi prega riceve da Dio le grazie necessarie a sconfiggere ogni tentazione e a superare ogni prova: noi da soli potremmo non potremmo nulla… Ma se glielo chiediamo, Dio non ci negherà il suo aiuto. Però bisogna anche vegliare! Bisogna stare attenti! Il diavolo come un leone ruggente va in giro cercando chi divorare: non bisogna mai abbassare la guardia, non bisogna mai lasciarsi cogliere impreparati, per questo bisogna “vegliare” e “pregare”.
La tentazione va respinta immediatamente, nel momento stesso in cui si insinua nei nostri pensieri! La tentazioni non va presa in considerazione! Se cominciamo a ragionarci sopra, ecco che soccombiamo. Se cominciamo a vagliare l’ipotesi di poter commettere un peccato oppure no, probabilmente finiremo col commetterlo. Non appena ci sentiamo tentati, la cosa migliore è pregare, invocare subito l’aiuto della Madonna, di San Michele Arcangelo o di un Santo al quale siamo devoti… Tutto fuorché dialogare con la tentazione. La tentazione ha il potere di farci desiderare un bene effimero: la nostra ragione percepisce chiaramente che dietro quel falso bene in realtà si nasconde un male, ma nonostante questo la nostra cupidigia se ne sente attratta. Non bisogna interagire con la tentazione! Bisogna scacciarla immediatamente! In che modo? Come ci ha detto Gesù: ricorrendo alla preghiera, e alla vigilanza.
DIETRO OGNI TENTAZIONE SI NASCONDE L’AZIONE DIRETTA DEL DEMONIO?
Non necessariamente. Non sempre dietro una tentazione c’è un demonio che sta cercando di indurci al peccato. Il più delle volte per subire la tentazione ci bastano il “mondo” e la nostra “concupiscenza“. Ci dice Giovanni:
“Non amate il mondo né ciò che vi è nel mondo. Se uno ama il mondo, in lui non c’è l’amore del Padre” (1 Gv 2,15).
Il mondo – del quale Satana è il principe (Gv 12,31) – con i suoi falsi idoli ci fornisce continuamente motivi di tentazione: sesso, potere, soldi, successo… Tutto, nel mondo, sembrerebbe concorrere alla nostra dannazione. Ma non basta. Al mondo va ad aggiungersi la nostra concupiscenza: pur essendo battezzati, infatti, manteniamo un’inclinazione al male a causa dell’antica ferita prodotta in noi dal peccato originale (Catechismo CC 405). È vero che con il Battesimo il nostro peccato originale è stato cancellato, ma la nostra natura ne ha comunque subito un indebolimento che ci porta a dover vivere un continuo combattimento spirituale.
Sempre Giovanni individua tre tipi di concupiscenza: quella della carne, quella degli occhi e quella della ricchezza (1 Gv 2,16). Dobbiamo vigilare e pregare: tutti sappiamo quanto possano essere forti i desideri della carne. È Gesù stesso a dircelo.
“Lo spirito è pronto, ma la carne è debole” (Mc 14,38).
Tornando alla domanda iniziale di questo paragrafo: “Ma dietro la tentazione si cela sempre l’opera diretta del demonio?” La risposta è: non sempre.
Certo, il mondo, di cui Satana è il principe, concorre nell’indurci in tentazione, ma non per questo dietro ogni nostra tentazione si cela l’operato “diretto” del diavolo. Può accadere che un demonio cerchi “personalmente” di indurci in tentazione, sì, ma non c’è modo di scoprire se la tentazione di cui siamo vittime sia opera di un demonio. Bisogna considerare che gli stessi angeli furono indotti in tentazione prima ancora della ribellione di alcuni di loro (che poi si trasformarono in demoni). Quindi la tentazione per poter esistere, non ha bisogno del demonio (anche se è vero che il demonio può farsene promotore), perché altrimenti chi avrebbe indotto in tentazione il diavolo quando ancora era un angelo?
“Ogni uomo, oltre che dalla propria concupiscenza e dal cattivo esempio degli altri, è tentato anche dal demonio e lo è ancor di più quando meno se ne avvede. (…) Occorre rimanere vigilanti per reagire con prontezza a ogni attacco della tentazione” (Giovanni Paolo II – Angelus del 17 febbraio 2002).
Fra Francesco Arena.
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