Qualunque cosa chiederemo nel suo nome, Dio ce lo concederà: dobbiamo credere oltre la speranza ed entrare nella certezza
C’è un momento nei vangeli in cui a Gesù è chiesto quale sia il comandamento principale, e Gesù ne elenca due. Non nomina più i dieci, ma dice di amare Dio con tutto il cuore, con tutta la forza e con tutta la mente – quindi anche di pregare, perché per amare Dio bisogna pregare – e poi di amare il nostro prossimo come noi stessi.
Quando abbiamo fatto queste due cose abbiamo fatto tutto il resto dei comandamenti.
A volte leggiamo il Vangelo come se stessimo leggendo un libro, un giornale, e, senza un’attenzione spirituale, può sfuggirne il reale significato.
Ad esempio in questo Vangelo Gesù dice: “Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando”. Letto così sembra che saremo amici di Gesù se faremo ciò che lui dice, perché lui è il capo. Vista così questa parola sembra lontana, fredda, come se Gesù dovesse darci una condizione al suo amore. Invece non è così, anche se letto in modo didascalico può sembrarlo: Gesù non ci ha detto questo come condizione, ma come istruzione.
Se noi rispettiamo i suoi comandamenti e amiamo il nostro prossimo come noi stessi, allora abbiamo con lui un rapporto d’amicizia, ci avviciniamo a lui. Questo è un insegnamento, non una condizione. Interpretato diversamente sembra un imperativo, ma Gesù non è un agente immobiliare, non è un venditore, lui è Dio! Lui ci sta solo insegnando qual è la strada del bene, e quindi ha anche l’autorità di dirci, un’autorità che non si dà da solo ma ce l’ha, di dirci ciò che è bene.
Questa sottolineatura è importante. Noi siamo abituati a leggere il Vangelo come se stessimo leggendo un libro qualunque, quando invece è Dio che parla, sta parlando Dio. Infatti in questo Vangelo Gesù dice “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore”: quindi Gesù si mette al livello nostro!
Leggendo, invece, magari ci può essere quella frasetta che ci fa dire: cosa dice questo Gesù? A me non torna! Questo perché noi abbiamo pensieri umani, che a volte sono limitati e limitanti, invece Dio va oltre.
Noi abbiamo veramente il dono di entrare in una dimensione più alta, perché io non sono nessuno, ma è certo che credo. L’unica cosa che posso dire, e penso che Dio lo fa perché lo ha detto, è che quando tu credi lui opera in te. Perché quando tu credi Dio ti parla, ti aiuta.
Spesso ci viene da pensare che quando facciamo una preghiera per gli altri Dio ci ascolta, mentre quando le facciamo per noi stessi, no. Il punto è che quando preghiamo per gli altri non abbiamo la paura di rimanere delusi. Le preghiere che si fanno per gli altri sono sempre un po’ più spontanee: a volte ci dispiace anche pregare per noi, perché sembra quasi una preghiera opportunistica, e quindi non mettiamo la giusta intensità.
Invece Gesù vuole che noi preghiamo per gli altri, ma anche per noi! Perché lo abbiamo detto prima “(amare il prossimo) come noi stessi“! Quindi Dio vuole che io prego per me, perché io mi devo voler bene. Se io non voglio bene a me stesso, come posso voler bene agli altri? Non bisogna ostentare fede, magari dicendo: “io mi nascondo per aiutare gli altri” perché il Signore non ci chiede questo, ci chiede di aiutare gli altri, e basta.
Se per aiutare gli altri qualcuno ci nota, non succede niente, magari diamo testimonianza. Ci sono cose che nella vita hanno una forma lineare, ma a volte in questo ci sembra che si nasconda una trappola. Quando parli di fede invece è tutto lineare, perché Gesù è “la via, la verità e la vita”, non dice “le” vie, le verità e le vite.
La vita infatti è una ed è eterna, perché non finisce, ma è unica. Quando parliamo con Dio, stiamo parlando con l’infinito, non con qualcosa di approssimativo, no.
Noi siamo approssimativi nella fede, ma se ci rivolgiamo a Dio e Dio è colui che ci ha creato, come possiamo pensare che lui non ci ascolti, che non operi nella nostra vita? Certo, non è facile no dubitare.
Pensiamo ai Padri della Chiesa: loro vivevano senza andare a cercare niente da mangiare. Si dice che venissero nutriti dalla preghiera, dallo Spirito: era come se si materializzasse davanti a loro del cibo, solo per fede, perché vivevano per decenni nelle caverne. Non ci andava nessuno, non uscivano mai, quindi per questo si dice che fossero nutriti dalla Provvidenza, che arrivasse il cibo davanti a loro.
Immaginiamo la fede dove può arrivare! Loro vivevano così, per Provvidenza, totalmente in abbandono: ecco perché sono diventati Padri della Chiesa, perché hanno portato testimonianza viva di qualcosa che a livello di mistico non possiamo comprendere, perché non viviamo con Dio quel tipo di relazione.
Pensiamo agli eremiti, a San Francesco che per tre anni fu eremita: oggi, usando il linguaggio del mondo, un eremita sarebbe uno “sfigato”. E invece San Francesco in quei tre anni ha parlato col Signore, in quei tre anni lo ha conosciuto veramente, perché non aveva distrazioni, quelle che abbiamo noi.
Entrare in questa dimensione è difficile, ma lo diventa ancor di più se non stacchiamo la presa col mondo, ogni tanto. Se non ci fermiamo qualche volta a dire al Signore qualcosa di profondo, di coraggioso.
Se il signore ci ha detto: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete – non dice qualcosa, ma tutto! – al Padre nel mio nome, ve lo conceda“. Queste sono le sue parole: qualunque cosa chiederemo nel suo nome, Dio ce lo concederà. Questa è la fede. Dobbiamo crederci in questo, non pensare che forse è bello, no, dobbiamo credere, andare oltre la speranza ed entrare nella certezza che Dio è in mezzo a noi.
Sia lodato Gesù Cristo.
Redazione
* Paolo è il fondatore della Luce di Maria, è un laico, padre di famiglia e sposato in chiesa.
Tutte le sere alle ore 00:00 recita in diretta Facebook e Youtube de La Luce di Maria, il Santo Rosario che accompagna con delle riflessioni spontanee sulla Parola del Vangelo del giorno a venire.
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