Le parole del cantante sul Ddl Zan, di cui oggi si parla ovunque, sono da molti giudicate inappropriate e irrispettose.
Perché passa sopra una moltitudine di cittadini che vedono nel Ddl Zan un terribile pericolo per la libertà di pensiero, su cui però non si fa informazione ma solo disinformazione. Sui social e in rete oggi non si discute che dell’intervento del cantante sul palco del Concerto del primo maggio e della sua polemica innescata ad arte contro il servizio pubblico della Rai. Segno che l’operazione di marketing del rapper e influencer sia pienamente andata a buon fine. Si chiama, nel gergo tecnico del marketing digitale, personal branding, e nasce dopo che i report dei suoi social hanno messo in luce punto per punto aspetti legati alla sfera comunicativa del web indicandogli di cosa parlare, come farlo e di conseguenza anche dove investire dal punto di vista economico.
L’attenzione alla tematica del gender, infatti, fa il paio con la linea di smalti da uomo appena lanciata dallo stesso Fedez, e su altre iniziative che vanno su questa onda. Tuttavia, la politica non è marketing né commercio, e il cantante perseguendo i suoi interessi personali e di immagine non fa altro che mettere in pericolo l’esistenza di un intero Paese e di milioni di famiglie e di italiani profondamente contrari al Ddl Zan e a tutto ciò che lo circonda.
Se infatti la rete e i social discutono spasmodicamente di questo intervento, ripetiamo, ben organizzato ad arte, sono altrettanto numerosi i rilievi profondamente negativi e arrabbiati verso quanto successo. Spieghiamo in breve: il cantante è salito sul palco del concerto e prima di farlo ha avuto una breve discussione con i vertici Rai. In cui questi, giustamente, gli spiegavano che il palco di un concerto non è il luogo per fare ciò che vuole in barba ad ogni regola.
La risposta del cantante è stata di piena supponenza, in cui rivendicava il diritto di “fare il c**** che mi pare”, attaccando con rabbia e affanno i dirigenti della Rai e cosa di questo tipo. Ci si chiede però dove sia scritto che un cantante possa fare e dire quello che vuole dal palco di un concerto trasmesso dalla tv pubblica, pagata con i soldi di tutti i contribuenti, e per questo sicuramente molto meno libera di qualsiasi altra emittente privata.
Meno libera nel senso che essendo di tutti richiede un attento bilanciamento di opinioni e di contraddittori, di rispetto e di tolleranza, di delicatezza e soprattutto di dibattito aperto. Cosa che non è successa. Fedez prima della sua canzone ha dato vita a uno sguaiato monologo in cui attacca nomi e cognomi di politici impegnati in parlamento, secondo le regolari norme e procedure dell’attività politica, a dibattere su questo famigerato Ddl Zan. Che molti, non solo cattolici ma anche ad esempio femministe, ritengono terribilmente pericoloso, come anche noi cerchiamo di spiegare ormai da mesi.
Per tante ragioni che ribadiremo più avanti, ma che il cantante e quindi la trasmissione pubblica non ha assolutamente preso in considerazione. Sarebbe questa la libertà del dibattito? Ad essere obiettivi, si tratta in realtà della peggiore e più bieca e sguaiata propaganda a senso unico su un tema molto delicato, di cui peraltro non si fa informazione adeguata. Si spaccia il Ddl Zan come una legge che difende omosessuali dal bullismo, ma così non è, perché questa è solamente la facciata con cui si vuole presentare il provvedimento.
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Il Ddl Zan infatti introduce termini altamente contradditori e indefiniti come “genere”, “identità di genere” e “percezione di sè” che sono solamente il frutto di una controversa teoria propugnata da una manciata di studiosi ma sostenuta da potenti e influenti lobby internazionali per ragioni, peraltro, molto scure e poco chiare. Che hanno a che fare con questioni di marketing, economiche, di geopolitica internazionale, ma anche di controllo sociale e di ideologia che sfiora pesantemente ambienti esoterici e occulti, come spesso è stato purtroppo raccontato.
L’idea che con un tratto di penna si voglia cancellare il sesso biologico e introdurre l’assoluta arbitrarietà sessuale, e utilizzarla come Cavallo di Troia per reati violenti come l’utero in affitto, la transizione di genere anche ai minori con l’utilizzo di farmaci come la triptorelina e pesanti trattamenti ormonali, l’indottrinamento dei bambini fin dalla scuola, l’allontanamento degli stessi dai genitori che si oppongono a questa deriva, come accaduto purtroppo spesso in molti Paesi anglosassoni, da ultimo il Canada, è aberrante. Pensare che tutto questo sia conseguenza di civiltà e progresso, inoltre, è ben lontano da essere una verità univoca.
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Per noi, per molti cattolici, per tanti cittadini, uomini e donne di buona volontà, tutto ciò è ben lontano dall’essere la verità, ma al contrario non è altro che l’anticamera dell’abominio, della dittatura di una società anti-umana che si vuole imporre con l’arroganza del denaro e del potere di influenzare le masse, le persone più sole e deboli.
Anche i vescovi italiani hanno messo nero su bianco le loro preoccupazioni, e ci mancherebbe. Ma ci sono numerosi intellettuali, giuristi, accademici, militanti pro-vita o del femminismo anche storici che si sono scagliati duramente contro la legge, e questi hanno tutto il diritto di essere rappresentati all’interno del servizio pubblico e di fare sentire la loro voce.
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La maggioranza degli italiani è profondamente contraria all’indottrinamento gender nelle scuole, all’insegnare ai bambini che maschio e femmina è uguale, che il cambio di sesso è libero e naturale, che l’utero in affitto è progresso. Che travestiti e drag queen debbano spiegare ai bimbi delle scuole elementari che cos’è la sessualità e come dovrebbero portarla avanti in età adulta. Questo non è progresso, ma molti genitori non sono in alcun modo a conoscenza del fatto che tutto questo è previsto nel Ddl Zan.
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Molti italiani non sanno che con l’introduzione di questa legge non potranno più dire che un bimbo o una bimba ha bisogno di una mamma e di un papà, perché rischierebbero di essere accusati di omofobia, pur non avendo alcuna avversione verso un o una omosessuale, magari provando verso la questione la più totale indifferenza.
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Non lo sanno perché l’informazione pubblica non glielo ha spiegato, ma al contrario ha mostrato loro un presunto cantante, imprenditore e influencer fare una filippica a favore di questa legge, con le unghie colorate degli smalti che ha appena iniziato a produrre, mentre intona la sua ultima canzone appena uscita sul mercato e mentre i suoi social media manager monitorano con capillare attenzione traffico dei contenuti, reazioni degli utenti in base alla loro profilazione e cose di questo genere.
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Questa non è la società che vogliamo, ma è il dominio della menzogna, il cui principe è purtroppo sempre vigile e allerta, ben felice nel momento in cui la menzogna viene diffusa con grande pervicacia. Ma la menzogna non avrà mai la meglio, non potrà mai averla, perché è destinata a soccombere, presto o tardi. Come nei peggiori regimi atei e totalitari del novecento, e dei secoli precedenti, la menzogna verrà sepolta dalla storia e a vincere sarà, inevitabilmente, la luce della verità e la bontà dell’essere umano. Non i traffici, gli interessi privati, l’arroganza del potere.
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Sarebbe stato molto meglio che sul palco del primo maggio, festival del lavoro, si fosse parlato della grande crisi occupazionale che colpisce la totalità degli italiani, e non singole categorie, uomini e donne spesso con figli, famiglie che non sanno come andare avanti, aziende che delocalizzano oppure chiudono, mentre la politica non fa nulla per salvare la situazione, mentre il Paese sprofonda e rischia di scomparire insieme alla sua crisi demografica, frutto di una cultura dell’individualismo e del narcisismo spinto che ha come suo primo nemico la cultura della vita e della gioia del vivere nel bene e nella verità. Sarebbe meglio, forse, parlare di questo.
Giovanni Bernardi
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