Una terribile violenza con vittime centinaia di ragazze, che riescono a sopravvivere solo grazie alla loro fede. Oggi, nei loro diari scopriamo dettagli inediti di come hanno vissuto quei momenti infernali.
I testi in seguito ritrovati mostrano infatti uno spaccato assolutamente drammatico ma carico di amore cristiano fino alla sofferenza più totale.
Le loro parole ci riportano indietro a un dramma commovente che diventa di grande attualità per la loro fede incrollabile che le ha permesso di vincere il male affidandosi totalmente al Signore. Durante il momento del rapimento, nel 2014, le studentesse si trovavano a Chibok, nel nord-est della Nigeria, una cittadina isolata dalle montagne che già negli scorsi secoli divenne rifugio per coloro che fuggivano dai trafficanti di schiavi, oggi ricordata per essere una delle ultime località nigeriane che durante l’epoca del colonialismo passò sotto il controllo britannico.
In quell’area la popolazione è principalmente musulmana, ad eccezione di questa piccola cittadina, che venne evangelizzata nel 1941 da una coppia di missionari statunitensi e da allora la maggior parte degli abitanti si convertì al cristianesimo.
Questi gruppi religiosi diversi convissero a lungo insieme in modo pacifico, prima dell’arrivo di Boko Haram, quando i giovani di quel territorio, spesso vittime della disoccupazione e della miseria, cominciarono ad ad avvicinarsi all’Islam radicale e a partecipare ai feroci contrasti tra gruppi etnici. Il gruppo terroristico Boko Haram, il cui nome significa letteralmente l’istruzione all’occidentale è peccaminosa, dalla sua fondazione ha ucciso un numero altissimo di religiosi musulmani moderati, distrutto villaggi e rapito bambini per farne soldati.
Le studentesse entrarono nell’incubo il 14 aprile 2014. Terroristi armati sono entrati a Chibok per rubare nella scuola un macchinario per la produzione di mattoni. Arrivati, svegliarono 276 ragazze e le fecero prigioniere, prima di bruciare la scuola. La colpa di quell’istituto era di insegnare la scienza, che a loro avviso doveva sottostare alla sharia.
Le ragazze vennero portate nella foresta, divise tra musulmane e cristiane. Le prime vennero obbligate a sposare dei miliziani, mentre le seconde furono ridotte alla schiavitù, facendole dormire all’aperto e lavorare duramente, servendo anche i terroristi nelle faccende domestiche. La maggior parte di loro non accettarono di convertirsi, nemmeno quando venne offerta loro la libertà. A un certo punto accadde però l’incredibile.
Un gruppo di attivisti nigeriani lanciò un hashtag su Twitter chiedendo l’immediato rilascio degli ostaggi. Quella dicitura arrivò fino negli Stati Uniti, a Hollywood, fino a catturare l’attenzione di tutto il mondo. Lo slogan divenne: “Cosa chiediamo? Riportateci le nostre ragazze, ora, sane e salve!”. Milioni di utenti twittarono quello slogan, e anche la Casa Bianca intervenne, chiedendo al presidente nigeriano Goodluck Jonathan di lanciare una missione di salvataggio per le ragazze.
In poco tempo, la CIA e l’FBI arrivarono in Nigeria, e droni americani volarono sopra la foresta. Dopo due anni e mezzo 163 delle 276 studentesse rapite vennero liberato. Le ragazze ora hanno vent’anni e le loro vicende incredibili sono raccontato in un libro intitolato proprio “Bring Back Our Girls”, di Joe Parkinson e Drew Hinshaw, tratto proprio dai diari di queste ragazze scritti durante la terribile prigionia e pubblicati solamente oggi.
Quello che emerge sopra ogni altra cosa da questi testi è l’incrollabile fede delle donne, anche a costo di perdere la propria vita. Vissero due anni di prigionia, soprusi e torture, ma la notte imperterrite sussurravano preghiere e imparavano a memoria passi della Bibbia scritti in testi di contrabbando. Nei loro diari segreti descrivono quella sofferenza come quella di Maria che consegnò Gesù al mondo sulla Croce. Le donne scrivono di rivedersi pienamente in quei passaggi biblici.
Nei testi si leggono, con calligrafie tremanti, salmi come “io Dio, grido di giorno, ma tu non rispondi; Chiamo di notte e tuttavia non trovo riposo”. Passavano giornate a inneggiare canti di lode e preghiere a Dio, in ogni momento fosse loro possibile. Donne a cui nella sofferenza più totale non interessava null’altro che vivere il più profondamente possibile la loro fede in Cristo, e fu questo a donare loro la forza e la speranza di andare avanti. Fino alla libertà.
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