I dati del Coronavirus sembrano aumentare, come gli allarmismi. Nuovi contagi nella Santa Sede, in Sri Lanka stop alle Messe. Cosa avverrà in Italia?
Il rischio sembra esserci. E i fedeli cominciano già a pensare che saranno costretti a festeggiare il Santo Natale in casa, senza la possibilità di incontrare il Signore nell’Eucarestia. I segnali ci sono, e arrivano da varie direzioni. Basta aprire i media vaticani, in cui si annuncia che, come all’inizio della pandemia, il Coronavirus ha colpito un’altra volta tra le mura della Santa Sede.
Vaticano, quattro Guardie Svizzere positive al Coronavirus
Sono stati infatti trovati quattro positivi tra i membri delle Guardie Svizzere. Il direttore della Sala Stampa vaticana Matteo Bruni ha spiegato che i contagiati sono sintomatici e sono stati posti in isolamento. E che in parallelo a ciò, il Vaticano sta portando avanti le “verifiche necessarie tra quanti possono essere stati in contatto diretto con loro”.
Di fronte a questo riscontro, tutte le guardie vaticane, “in servizio e non, portano le mascherine, all’aperto e al chiuso, e osservano le misure sanitarie prescritte”. Oltre a queste quattro persone, nelle ultime settimane erano stati riscontrati altri tre casi di positività. “Tutti con sintomi lievi e per i quali sono state osservate tutte le necessarie misure di isolamento presso la propria abitazione”, si spiega.
In Sri Lanka Messe bloccate a causa del Coronavirus
Di fatto, quindi, il Coronavirus continua ad affondare i suoi artigli in tutto il pianeta. Uno tra i Paesi più colpiti è lo Sri Lanka, dove le autorità governative hanno imposto il coprifuoco a tutta la popolazione, chiudendo anche tutte le scuole nell’intero territorio nazionale. Anche la Chiesa ha così subito seguito le disposizioni del governo srilankese.
Dall’11 ottobre infatti i corsi di catechismo sono stati sospesi a data da destinarsi. L’arcidiocesi di Colombo ha disposto la chiusura delle scuole cattoliche in tutto il territorio. Mentre nel distretto Gampaha le Messe sono state sospese in presenza. Nella diocesi invece di Mannar sessanta persone sono state messe in isolamento, tra questi l’ordinario locale monsignor Fidelis Lionel Emmanuel Fernando e 16 sacerdoti.
Stop alle Messe. Un contesto che rimanda a quello italiano?
Tra l’altro, nel Paese, le Messe con il popolo erano riprese giusto il 15 giugno, in seguito a tre lunghi mesi di sospensione in cui erano state sospese tutte le celebrazioni pubbliche. Il Vaticano ne dà notizia, sui suoi media, spiegando che si è trattato di “una misura che aveva consentito di contenere il numero di positivi”. Visto che “nel Paese asiatico si sono registrati 4.752 casi positivi e 13 decessi”.
Una celebrazione che rimanda inevitabilmente al contesto italiano, in cui si vocifera che in caso di innalzamento dei contagi i vescovi sarebbero ben presto disposti a bloccare di nuovo le celebrazioni al pubblico. “La Chiesa in Italia è sempre più una Chiesa patriottica, una Chiesa di Stato, ovvero una Chiesa le cui posizioni e i cui giudizi collimano perfettamente con quelli del Governo”, commenta il giornale online La Nuova Bussola Quotidiana.
I vescovi della Cei sarebbero disposti a sottostare a un nuovo blocco
Il quotidiano di Roma Il Messaggero avrebbe infatti spiegato che in caso di una richiesta di chiusura delle chiese da parte del Governo la Chiesa italiana non avrebbe alcuna obiezione da fare. O che ancora peggio il segretario della Cei monsignor Stefano Russo la Chiesa è ben pronta a fare valere le motivazioni di salute pubblica. Interrompendo subito attività pastorali e liturgie.
Dando però una totale adesione a misure che, come noto, non hanno alcun presupposto scientifico, ma si trattano al contrario di misure del tutto arbitrarie che il governo mette in campo perché non ha altri mezzi per contrastare l’espansione del virus. Il consulente del Governo e dell’Oms Walter Ricciardi nei mesi scorsi lo aveva scritto chiaramente, anche se poi il suo articolo era presto sparito dal sito dell’organizzazione internazionale.
Una misura che non avrebbe alcuna ragione scientifica o di emergenza
Il lockdown sarebbe una misura di “cieca disperazione“. E così, dopo il nuovo ultimo dpcm, sono partite le ironizzazioni e le critiche, anche feroci, in rete. Dal divieto di “party privati” a un numero massimo di sei persone da invitare a casa, con l’auspico di “delazione” da parte del ministro Speranza, l’unico dato evidente a tutti è che il governo naviga a vista.
Eppure, in questo contesto di totale incertezza, la Chiesa italiana è in prima linea per sacrificare sull’altare del caos ciò che di più importante ha. Ovvero l’Eucarestia e la celebrazione aperta al popolo. Nonostante in questi mesi in cui anche il rito stesso è stato in parte stravolto, dall’uso delle mascherine, l’obbligo di ricevere la comunione in bocca e di igienizzarsi le mani, il divieto di inginocchiarsi o di bagnarsi con l’acqua santa, non ci sia stato alcun caso di focolai o di contagi in chiesa.
Le chiese oggi sono i luoghi più sicuri, e i dati lo dimostrano
Di fatto, oggi, le celebrazioni sono il luogo in cui è più difficile entrare in contatto con il virus. Sicuramente molto meno che in supermercati, bar, negozi, ristoranti o chi più ne ha più ne metta. Per cui, oltre a non esserci alcuna ragione scientifica per fermare le liturgie, non ci sono nemmeno dati che potrebbero indicarne alcuna necessità di farlo.
Tuttavia siamo qui a combattere con la paura che, oltre ad aver già rinunciato a celebrare la Santa Pasqua, rischiamo di trovarci nella stessa situazione anche a Natale.
Giovanni Bernardi